30 dicembre 2008
Marco Espa: la crisi della rappresentanza si supera con la partecipazione
Il tema i volti della rappresentanza è un argomento di particolare attualità e molto stimolante. Permettetemi di iniziare da una domanda paradigmatica: quale il tratto che sottointende a quest’argomento? Se c'è un tratto che sintetizza le ampie problematiche che attraversano la nostra attualità, la nostra civiltà occidentale, un tratto che è possibile ritrovare sia alla base delle fratture della società come nelle gravi insufficienze dell'azione politica, è quello della notte, di una notte così profonda da investire la stessa dimensione culturale. Paul Ricoeur, filosofo ermeneuta francese, l'ha genialmente definita la "notte del noi".
Nella rappresentanza spesso c'è un'incapacità di pensarci come partecipi di un disegno comune; le sempre più evidenti relazioni di interdipendenza che ci legano di fatto ad ogni altro, sfumano di fronte all'affermazione di una solitaria e pretesa centralità delle nostre ragioni individuali o di quelle del nostro gruppo particolare.
Mi pare di poter affermare che questa "notte del noi" raggiunga la sua massima espressione proprio dentro la politica: i partiti, ciascuno singolarmente, si percepisce come detentore della verità, non come parte di un gioco collettivo che include necessariamente tutti per costruire il bene comune. Ogni città, ogni popolo rincorre il suo parziale bene, come un'entità distinta e separata, mentre oggi più che mai lo spazio dei problemi, e quindi delle possibili soluzioni, è la dimensione planetaria. Anche noi cittadini, ci distinguiamo spesso per una serie di interessi circoscritti quanto il nostro giardino
Di fronte a tutto ciò, esistono però dei punti da cui ricominciare. Come non ricordare che, quasi ogni giorno, scende in piazza un numero variabile, ma sempre incredibilmente alto, di persone che chiedono di partecipare alle decisioni politiche? E anche dentro il palazzo, quante persone incontriamo ogni giorno che, attivata una rete di relazioni continuative e disinteressate, sono capaci di novità, perché capaci di puntare ai valori che precedono e danno significato alle appartenenze.
Fatti che offrono una conferma significativa per continuare a lavorare lungo tre direzioni preminenti.
La prima: offrire luoghi in cui si possano consolidare relazioni di reciprocità tra i diversi soggetti delle dinamiche democratiche. Se a fondamento della politica è necessario porre un nuovo concetto del partecipare, inteso come "prendere parte" alla scrittura del destino comune (è ciò che sta emergendo con chiarezza nel dibattito politico internazionale come nelle buone pratiche che si diffondono, a partire anzitutto dal livello locale), condizione indispensabile è anzitutto quella di "essere parte", di sentirsi parte, laddove ciascuno si trova a vivere e ad operare. Le istituzioni devono lavorare perché ciascuno (e qui mi riferisco ai cittadini come ai segretari di partito, agli imprenditori, ai giornalisti, agli educatori, agli studenti, alle casalinghe) riscopra fino in fondo la sua responsabilità civica e la coniughi dentro le diverse arene del bene comune.
Ne viene uno stile di azione politica preciso, perché qualificato da una forte opzione "pregiudiziale" a favore del dialogo.
Veniamo alla seconda direzione: la dimensione internazionale, la mondialità. Che la storia dell'umanità sia caratterizzata da un rapporto di interdipendenza reciproca è un dato di fatto da cui è impossibile prescindere. Le esemplificazioni sono evidenti: la ricerca della pace, la difesa dell'ambiente, lo sviluppo della scienza, le comunicazioni e l'uso dei media... Sfide verso le quali è possibile produrre una risposta efficace, esprimere una parola forte, solo agendo con sforzi creativi proporzionati: solo se partiamo dal riconoscimento reciproco, del legame universale della fraternità come categoria politica: se dopo la rivoluzione francese molto si è fatto su uguaglianza e libertà, la fraternità pare una categoria abbandonata dalla politica e sulla quale molto c’è da investire, localmente come globalmente.
Si tratta cioè di abituarsi ad agire, sul piano della progettazione e della decisione collettiva, tenendo conto che la comunità politica fondamentale è l'umanità, e abbandonare così, come chiave di lettura e di progettazione politica, la stretta visuale del proprio angolo di mondo, per riconoscere e assumere che, se ogni uomo lo riconosco come facente parte della mia comunità con pari diritti, allora il suo progetto di vita è il mio, la sua aspettativa di vita è la mia, gli ostacoli che frenano il suo sviluppo e quello del suo popolo sono miei. Allora il bilancio del mio comune, del mio stato della mia regione si struttura e si relativizza sulla sua condizione.
La terza direzione è quella dell'individuazione di iniziative comuni. Occorre trovare il modo di interagire, di impegnarsi insieme in azioni positive che vedano il concorso dei diversi soggetti della politica, ognuno forte della sua responsabilità e autonomia, per il bene comune.
Concludo.
Credo che la partecipazione rimanga coessenziale alla rappresentanza.
Ma votare non basta.. il patto eletto-elettore può essere una risposta nella crisi democratica della rappresentanza.
Il sistema democratico chiama i rappresentanti eletti a render conto del loro operato, soprattutto al momento del voto. Eppure oggi un numero crescente di elettori ritiene insufficiente che la propria partecipazione alla vita della polis si esaurisca con un tratto di matita sulla scheda elettorale. L’esigenza che i cittadini possano concorrere al lavoro politico dei rappresentanti durante lo svolgimento dell’intero mandato, in modi più ricchi di contenuto e continuativi, è una delle domande cruciali cui la democrazia moderna non ha ancora risposto. L’esperienza del “patto politico-partecipativo” tra eletti ed elettori, originale sperimentazione internazionale nata a metà degli anni ottanta nell’ambito del Movimento Politico per l’Unità , può essere considerata come l’apertura di un diverso orizzonte partecipativo. E’ un patto di responsabilità reciproca, di dialogo permanente e di fattiva collaborazione tra i cittadini e i propri rappresentanti. Esso crea un rapporto di reciprocità tra il gestore della vita pubblica e il cittadino governato. Col patto l'eletto si impegna ad esaminare continuamente il proprio operato e a renderne conto; da parte loro, gli elettori partecipano, studiando con l'eletto problemi e soluzioni. Gradualmente questo confronto fa diventare punto centrale il bene generale e non l'interesse di parte: il sociale si incontra col politico e l'eletto non è più isolato, ma diventa espressione di una comunità viva. Di fronte al rischio di abbandonare ad una élite la gestione dei processi di governo, si intravede un’esperienza di democrazia riconsegnata alla cittadinanza, di un protagonismo politico della società civile costruito in maniera corretta, nel rispetto dei diversi orientamenti politici e delle differenti funzioni, ma in un quadro di unità del corpo sociale che si compone attraverso relazioni libere e orientate al bene comune.
Marco Espa (*)
(*) Grazie a Lucia Fronza Crepaz per il suo discorso introduttivo a "Tra rappresentanza e partecipazione - Convegno internazionale - Loppiano (Incisa V.no, Firenze) - 3/4 novembre 2007"
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