15 maggio 2012

Progetti personalizzati: Oggi la Regione Sardegna perde ancora contro le famiglie e le persone con disabilità. ESPA: basta con questo accanimento contro bambini e adulti gravemente disabili.


Comunicato stampa di Marco Espa
Vicecapogruppo del PD in Consiglio Regionale
Membro della Commissione Sanita e politiche sociali

OGGI la Regione Sardegna perde ancora contro le famiglie e le persone con disabilità.

ESPA: basta ricorsi con questo accanimento contro bambini e adulti gravemente disabili.
Questa sentenza è anche un grandissimo assist per la Regione nei confronti del Governo italiano in merito all'impugnativa sulla finanziaria regionale.
Grazie a questa sentenza il presidente Cappellacci (piuttosto che litigare con il ministro Barca e richiedergli l'autorizzazione a sforare per il sociale il patto di stabilità) prenda atto dei contenuti e consideri almeno 100 milioni del fondo per la non autosufficienza come sociosanitari, ovvero NON VINCOLATI DAL PATTO. Come noi diciamo da ottobre 2011

 

Il TAR Sardegna (presidente Ravalli, estensore Flaim) con la sentenza n. 475 del 2012 appena pubblicata (la si legga qui) ha infatti accolto il ricorso di 30 famiglie di persone con disabilità grave (assistite dagli avvocati Giuseppe e Giulia Andreozzi e Riccardo Caboni). La famiglie chiedevano l'annullamento della delibera della giunta regionale con la quale erano stati previsti i criteri per il finanziamento dei piani personalizzati ai sensi della legge 162/1998. nella parte in cui prevedeva che l'ammontare del finanziamento fosse ridotto in considerazione del reddito ISEE del nucleo familiare, anzichè del reddito del solo disabile. Pochi giorni fa la Regione aveva perso anche al Consiglio di Stato e a febbraio aveva già perso sempre al Tar di Cagliari, ostinandosi però in inutili ricorsi sempre perdenti.
Il TAR Sardegna, dopo aver respinto le difese della Regione (su iniziativa dell'assessorato della Sanità), ha accolto il ricorso delle famiglie e delle persone con disabilità in prima persona, ritenendo che si debba prendere i considerazione il solo reddito del beneficiario del piano personalizzato in tutti i casi perchè si tratta di prestazioni sociosanitarie:  il richiedente è una persona con disabilità permanente grave o un anziano ultrasessantacinquenne non autosufficiente e il piano finanziato costituisce una prestazione sociale agevolata all'interno di un percorso integrato di natura sociosanitaria.
Sul medesimo ricorso si erano già espressi sia lo stesso TAR Sardegna, che a febbraio aveva accolto l'istanza di sospensiva avanzata dai ricorrenti con l'ordinanza 61 del 2012, sia il Consiglio di Stato che poche settimane fa ha respinto l'appello della Regione contro l'ordinanza di febbraio. 

Marco Espa: avevo gia detto e lo ripeto: Basta, basta ora ricorsi. Basta con questo accanimento contro bambini e adulti gravemente disabili. E' ora di smetterla. La Regione smetta di fare i ricorsi contro i sardi più vulnerabili. Pensi piuttosto a difendere con competenza la Regione contro la decisione del Governo nazionale sul fondo per la non autosufficienza. Grazie a questa sentenza e grazie quindi alle persone alle quali la Regione incredibilmente si contrappone, riceve un grandissimo assist nei confronti del Governo italiano in merito all'impugnativa (sorprendente e veramente incompetente, tanto da lasciar sospetti) fatta all'art. 3 comma 2 della Finanziaria Regionale. Infatti il Tar - in conformità con il Consiglio di Stato - spiega bene che la natura è sociosanitaria, quindi totalmente compatibile con la legge approvata in Consiglio Regionale e votata all'unanimità da tutti i partiti. 
Inoltre il Presidente Cappellacci (piuttosto che litigare con il ministro Barca e richiedergli l'autorizzazione a sforare per il sociale il patto di stabilità) prenda atto della sentenza e consideri almenno 100 milioni del fondo per la non autosufficienza come sociosanitari, ovvero NON VINCOLATI DAL PATTO. Potrebbe quindi spendere subito tutti i 300 milioni disponibili per le politiche sociali, 200 mil. sottoposti al patto e 100 mil di prestazioni sociosanitarie che legalmente sfuggono al patto, dando una boccata d'ossigeno a TUTTI i settori del sociale in un momento difficilissimo.
Comunque..Basta con i ricorsi da parte della Regione contro le persone. Stop! Non è possibile ancora vedere la Regione Sardegna che si mette letteralmente CONTRO persone già con gravissimi problemi dati dalla loro situazione di vita, letteralmente CONTRO bambini sardi con disabilità grave, contro eroiche famiglie con due o più disabili che chiedono solamente che venga applicata la legge (il dlgs 130 del 2000) che prevede, solo per le persone con disabilità grave la considerazione del reddito personale dell'utente e non di quello familiare come sostiene la Regione, e che fanno risparmiare centinaia di migliaia di euro alle casse pubbliche non mettendo in Istituto i propri cari. 
Fa impressione vedere e leggere nei ricorsi e nelle sentenze Regione Sardegna CONTRO… e seguono i nomi di persone con disabilità grave o dei loro genitori quando trattasi di bambini. Ma stiamo scherzando? Ma vi sembra sostenibile? Umano? Non bastano le decine e decine di sentenze sul tema dei tribunali di tutta Italia per fermarsi? Ma vogliamo finirla con questo che non è un gioco giuridico per le famiglie e che anzi è motivo di ulteriori spese e di stress?

E teniamo conto che è comunque un diritto, che la Regione si mette contro eventuali beneficiari, circa 10 mila famiglie e persone, con un reddito ISEE familiare inferiore ai 17 mila euro ANNUI (non mensili….non parliamo mica di ricconi).

Ho chiesto all'assessorato alla Sanità in sede di autotutela, con la mia interrogazione del 28 ottobre 2011 alla quale non ho avuto alcuna risposta, di fare propria la tendenza giurisprudenziale dei TAR e del Consiglio di Stato nel considerare il solo reddito personale, invece niente, con protervia si è proceduto ad opporsi, con il solo risultato di prendere uno schiaffo a febbraio dal Tar di Cagliari e uno adesso dal Consiglio di Stato.




7 maggio 2012

ESPA - Referendum e riforme istituzionali: adesso è l'ora di Cagliari città metropolitana.

Referendum: adesso è l'ora di Cagliari città metropolitana. L'esito del referendum diventa una grande opportunità.

Mai come ora l'esito del referendum, in particolare visto l'esito di quello sulle provincie, ci obbliga a raccogliere la sfida di creare a Cagliari la città metropolitana. Una forte città metropolitana. Con servizi efficienti e coordinati a misura di ogni cittadino, nemmeno un euro può essere più sprecato. È una realtà già insita nella sensibilità dei cittadini dell'area vasta.  Mai come ora un area contigua di 400 mila persone ha bisogno di razionalizzazione, di coordinamento, di efficienza, nella partecipazione e valorizzazione delle identità e autonomie di ogni territorio ma contro ogni campanilismo.
Che il Consiglio Regionale cominci l'iter del progetto di legge ( il 
PL N. 387 - MELONI Marco - ESPA - PORCU - Disposizioni per l'istituzione della Città metropolitana di Cagliari), che nei territori se ne inizi a discutere liberamente e concretamente.
L'esito del referendum, al di là che certifica il fallimento totale del centrodestra, dal Presidente Cappellacci ai Riformatori, che nonostante una maggioranza bulgara non sono riusciti a fare ad oggi uno straccio di riforma istituzionale - ricordo il taglio di migliaia di enti inutili, di posti in consigli di amministrazione, di taglio ai costi della politica avvenuti nella precedente legislatura -, ci pone di fronte alla necessità di rivedere l'assetto istituzionale degli enti territoriali. Lo sostengo, insieme a molti altri, da anni, prima in Consiglio Comunale e oggi in Regione: è l'assetto ideale per dare ai cittadini servizi più efficienti, meglio rispondenti alle loro esigenze di vita e con costi notevolmente ridotti (perché razionalizzati) per le casse pubbliche. Nei giorni scorsi abbiamo presentato insieme a Marco Meloni (primo firmatario) e Chicco Porcu un progetto di legge. E' una proposta aperta che ha l'obiettivo di chiamare tutti i protagonisti (politici e istituzionali) a riflettere su quella che sarebbe una novità assoluta nel panorama istituzionale sardo. E' urgente dare avvio alla discussione sul PL in Consiglio regionale e, con  essa, aprire la discussione nei comuni coinvolti. Non si tratta di togliere poteri e autonomia decisionale ai singoli comuni, ma di metterli insieme per decidere le strategie amministrative di un'area in cui risiedono 400 mila persone. Cittadini e cittadine che già oggi, quotidianamente, la vivono, la sentano e la attraversano, per ragioni di vita e di lavoro, come una realtà inscindibile della loro quotidianità: è arrivato il momento che anche le istituzioni e l'amministrazione diventino capaci di dare le risposte giuste alle loro nuove domande.

Marco Espa
Consigliere Regionale PD

4 maggio 2012

Cosa farò per i referendum?

ciao a tutti!
domenica abbiamo una tornata elettorale relativa ai 10 referendum sardi.
Io cosa farò?  Anche se alcuni referendum sono assolutamente retorici, dico subito che andrò a votare, (per il mio ruolo attuale lo sento a prescindere come un dovere) e che voterò sicuramente si al quesito numero 8 (scheda marrone), il più succulento per alcuni, quello dei tagli alle indennità dei consiglieri regionali.
Credo di essere stato uno dei primi consiglieri che in tempi non sospetti ha reso conto di tutti i suoi compensi da mandato politico. Avrei molte cose da dire sulle stupidaggini gravi che si sentono dire in giro (tipo: meno politica = più lavoro per tutti) in un periodo dove veramente ci vuole più politica. Anzi più Politica. Dove insieme ai tagli si riprenda collettivamente a chiedere più Politica, di coloro che non fanno favori a nessuno, che rendono conto, che cacciano via coloro che gli chiedono spintarelle e accozzi...
Ma ci ritornerò in un altro momento.
Voterò sicuramente no al referendum sull'assemblea costituente, credo proprio che aumenterebbe i costi della politica ( quanto ci costerebbe, per rimanere sul tema?).

Qui di seguito il parere di Renato Soru, favorevole al voto, e della scrittrice Michela Murgia, che invece dice, con un intervento intitolato "i referendum spiegati al mio gatto" che non andrà a votare.

Ho grande comprensione però di chi deciderà di non andare a votare, come Michela Murgia. In particolare mi fa pensare la riflessione di chi dice che i Riformatori, promotori principali dei referendum, invece che far spendere alle tasche di tutti i sardi 10 milioni di euro per la consultazione, potevano benissimo minacciare la loro maggioranza di governo (non siamo noi che governiamo, sono loro infatti che governano con il centrodestra) per far mettere in agenda in Consiglio Regionale i temi dei referendum. Eh, si, perchè sono tutti argomenti che potevano essere affrontati dal Consiglio Regionale per le adeguate riforme, e una forza di maggioranza poteva appunto ottenere minacciando l'abbandono della maggioranza.
Partiamo dal parere di Renato Soru, segue quello di Michela Murgia.

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Domenica 6 maggio in Sardegna siamo chiamati a votare su 10 quesiti referendari.
Nonostante la troppa demagogia e il fastidio per lo strumentale esibizionismo di alcuni, andrò a votare e ricordo a tutti di farlo. La Democrazia e i suoi diritti non sono qualcosa di scontato o una conquista acquisita persempre. Al contrario, va costantemente difesa ed arricchita con la nostra partecipazione, possibilmente di ogni giorno e certamente al momento del voto.

Voterò con convinzione per la cancellazione delle nuove provincie. Ritengo che le giuste aspirazioni di protagonismo dei diversi territori possa essere svolto molto più concretamente dalle Unioni di Comuni Queste potranno svolgere insieme le funzioni con maggiore efficienza ed efficacia non solo le tradizionali funzioni dei singoli comuni ma anche il ruolo di ente appaltante, contribuendo a ridurre i tempi, migliorare la qualità e il controllo della spesa.

Per gli stessi motivi sono per il superamento delle Provincie storiche e per l'istituzione di due Città Metropolitane.

Sulla riduzione del numero dei consiglieri regionali il referendum arriva tardi ma naturalmente concordo. Ricordo comunque che è già in corso l'iter parlamentare di modifica costituzionale per la riduzione a 60.

In questi anni, rispetto ad altri, ho sempre messo meno enfasi sull'urgenza di riscrittura dello Statuto Regionale. Ho ritenuto più urgente far rispettare e agire concretamente lo Statuto attuale, il qualdato contiene comunque le precondizioni di una Sardegna migliore di quella che abbiamo saputo realizzare finora. In ogni caso, credo che le modifiche o riscritture dell Statuto siano una competenza alla quale debbano essere chiamati e responsabizzati rappresentati del Popolo Sardo legittimamente e democraticamente eletti, quindi i consiglieri regionali, senza necessità di altre assemblee.

In ogni caso, domenica andiamo a votare.
Renato Soru
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Sono settimane che uno spot della Regione Sardegna invita i sardi ad andare domenica 6 maggio a votare su dieci referendum regionali. La maggior parte dei sardi però non sa nemmeno su cosa dovrebbe esprimersi. La risposta è unica e non è difficile: dovremmo esprimerci su questioni per cui paghiamo già i nostri consiglieri regionali, perché sono temi che fanno parte della loro ordinaria materia di decisione. Non si sta discutendo di nucleare, di orientamenti etici o di scelte radicali che sovvertono le regole del nostro vivere civile: ci stanno chiamando a decidere di dieci cose su cui, se davvero ci credessero, avrebbero già legiferato loro, risparmiando oltrettutto una marea di soldi pubblici. Al presidente Ugo Cappellacci, che tutti i giorni si dichiara favorevole ai dieci sì referendari, vorrei chiedere perché mai gli stiamo pagando 14mila euro al mese più bonus, se non è capace neanche di assumersi la responsabilità politica delle decisioni necessarie alla Sardegna.
Ma sarà poi vero che quelle decisioni sono tutte utili e necessarie? Provo a ragionarci.

I primi cinque quesiti, il cui colore di scheda è indicato dal quadratino accanto, riguardano la questione dell'abolizione delle province, le nuove (referendum abrogativo) e anche le vecchie (referendum consultivo).
Uno dice: le province sono un costo. Ma questo costo verrebbe meno se le aboliamo? Le decine di dipendenti pubblici a tempo indeterminato che ci hanno lavorato fino a oggi possono essere messi sulla strada da un giorno all'altro perché sparisce l'ente che li aveva assunti? Naturalmente no, infatti saranno obbligatoriamente assorbiti negli organici dei comuni e della regione, restando in carico alla spesa pubblica. L'unico costo che verrà meno sarà quello risibile dei gettoni di presenza, la cui somma complessiva annuale non arriva nemmeno vicino alla spesa sostenuta per fare questi referendum.
Un altro dice: le province sono enti inutili. Fermo restando che spesso le persone confondono l'inutilità di un organo con l'incapacità di chi lo gestisce, anche a me non piace l'amministrazione del territorio in province e la vorrei cambiare, dando più potere alle unioni dei comuni; però anche uno scemo capisce che, in assenza di un'alternativa, l'abolizione delle province otterebbe l'unico effetto di accentrare tutti i poteri in mano all'ente Regione, organo che non solo mi rappresenta meno, ma sul piano della spesa pubblica ci costa infinitamente di più.
Un altro ancora dice: votando sì costringiamo la casta a riformarsi. Volendo ignorare il fatto che il governo Monti ha già in canna la riforma degli enti territoriali, resta il fatto che se il governo regionale volesse davvero riformare il sistema amministrativo delle province potrebbe farlo subito: ne ha facoltà anche senza ricorrere al referendum. Ma non ne ha nessuna intenzione e lo sta dimostrando proprio scaricando sullo strumento referendario le responsabilità politiche di una scelta che potrebbe fare benissimo da sè. L'idea che abolendo gli enti locali ci troveremo improvvisamente in mano a persone migliori è puerile: ci troveremo comunque in mano a quelli che abbiamo eletto. Non possiamo farli fuori tutti: dobbiamo solo deciderci a sceglierli meglio.
Se passa il sì per questo quesito significa che saremmo di nuovo chiamati a votare i membri di un'assemblea costituente che dovrebbe riscrivere lo strumento che regolamenta la nostra appartenenza all'Italia. Da sarda libera che vuole la libertà della sua terra rido di questo quesito e lo rimando cordialmente al mittente. Basta prenderci per il culo:non vogliamo la riscrittura di nessun inutile Statuto da Regione Autonoma. Le vere assemblee costituenti - lo dice la parola - si fanno per scrivere le costituzioni, non l'ennesimo vademecum della propria sudditanza. Questa classe politica avrebbe potuto dimostrare la sua buonafede cominciando prima di tutto a far rispettare lo Statuto attuale, specialmente l'art.9, dove si afferma che abbiamo autonomia sulla gestione delle nostre entrate. Se non lo ha fatto è perchè in realtà nessuno di quelli che siedono in consiglio regionale desidera che la Sardegna abbia una sua sovranità. Tutti però vogliono giocare al piccolo padre costituente.
Questo quesito, che dovrebbe semplificarci la vita, ci chiama a votare (al referendum) per decidere se vogliamo andare a votare (alle primarie) per stabilire chi votare quando andremo a votare davvero (alle regionali): complimenti per la contorsione a chi lo ha pensato. In ogni caso, se questa prospettiva fosse stata operativa già quattro anni fa, avremmo eletto presidente della regione comunque Ugo Cappellacci, cioè un nome imposto da Arcore a un PdL sardo annichilito dallo strapotere delle segreterie d'oltremare. Il Pd e le altre formazioni con sede decisionale altrove sono vittima delle stesse dinamiche. Credere di muoversi in maniera diretta in un contesto che ha premesse eterodirette è un abbaglio, ribadito anche da questo inutile quesito.
Pormi questa domanda è come chiedermi se sono favorevole alla pace nel mondo: naturalmente sono più che favorevole a diminuire le prebende ai consiglieri regionali. Ma se anche votassi Sì, questo Sì impedirebbe loro il giorno dopo di votarsi un aumento compensativo? Naturalmente no, esattamente come un referendum sulla pace nel mondo non farebbe smettere i signori della guerra di costruire e usare armi. Quindi a cosa serve, a parte illudere la gente che dicendo Sì i politici guadagneranno meno?
E' ovvio che sono favorevole a mandare a casa tutti i trombati collocati in quei consigli. Ma gli enti a quel punto da chi sarebbero gestiti? Il quesito non dice niente in merito e questo significa che corriamo il serio rischio che avvengano nomine monocratiche dove a governare ciascuno di quei carrozzoni sarebbe probabilmente il trombato più grosso, facendone spettacolari feudi personali.
Sono contraria nella maniera più assoluta a questa scelta demagogica e anti-democratica, come a suo tempo avevo già argomentato con Marcello Fois in questo dibattito scritto. La riduzione del numero dei consiglieri (ancora di più se unita all'ipotesi della cancellazione delle province) creerebbe un'insopportabile verticalizzazione del potere amministrativo in mano alla sola regione, oltrettutto con meno consiglieri. Per essere eletti ci vorranno molti più voti, a tutto danno dei politici senza clientele e dei giovani, che faticheranno di più ad affermarsi o non si affermeranno affatto. Con meno posti a disposizione i baroni della poltrona rafforzerebbero invece le loro già fortissime posizioni, anche grazie alla logica del "voto utile". Se lasciassimo il numero attuale di consiglieri e riducessimo a tutti lo stipendio di due terzi (cioè a 4000 euro al mese) risparmieremo infinitamente di più che non diminuendo di trenta nomi la rappresentanza democratica in consiglio.
Per queste ragioni io domenica non andrò a votare. Per cambiare le cose non serve rispondere a domande inutili e demagogiche; io vado a votare le persone che portano avanti la mia visione di società civile, onesta e democratica. Il resto, compresi questi referendum, è fuffa e il mio gatto lo aveva già capito dando un'occhiata a chi li sta sostenendo.
Michela Murgia


2 maggio 2012

Stop ai campanili, è l’ora della metropoli




MARCO ESPA: Ogni anno il capoluogo perde 4,5mila abitanti perché le case costano cifre esorbitanti e i giovani vanno via
di Alessandra Sallemi - La Nuova Sardegna 1 maggio 2012


CAGLIARI Il troncone di metropolitana nel tratto della via Roma forse è opera che non appassiona tanti cagliaritani, ma di sicuro è questione che interessa agli abitanti di Sinnai, Sestu, Maracalagonis perché, con un trenino leggero che arriva in un amen fino a via Roma, ci sarebbe un collegamento rapido e sicuro con la stazione dei treni e con quella dell’Arst. Vale anche per i 12 mila pendolari ogni giorno in arrivo in piazza Matteotti dal sud ovest della costa: per andare al lavoro o all’università hanno bisogno di un trasporto pubblico che adesso non c’è e l’attraversamento di Cagliari si fa tramite bus mai in coincidenza con gli arrivi di pullman e treni. Oppure c’è la non-politica della casa, che spinge fuori Cagliari le giovani coppie, gli anziani, insomma chi non può pagare un’abitazione 5 mila euro al metro quadro e, però, deve tornare in città per lavorare, portare i bambini a scuola, curarsi: i cagliaritani si trasferiscono nei nuovi quartieri dei centri dell’area vasta, pur continuando a gravare sui servizi del capoluogo. Il capoluogo perde 4, 5mila abitanti l’anno, l’area vasta invece nello stesso arco di tempo cresce del 3 per cento e i suoi abitanti varcano ogni giorno la cinta daziaria di Casteddu per servirsi di banche, uffici pubblici, ambulatori o per andare al lavoro. Lo scambio, insomma, è quotidiano e in continua evoluzione, ciò che Cagliari dà e ciò che Cagliari al contrario non sa proprio offrire si ripercuote su una popolazione di 410 mila abitanti, ma d’altronde senza questo grande bacino il capoluogo è destinato a diventare una città di vecchi, con servizi molto costosi e non coordinati. Ecco perché un mese fa il consiglio comunale, quasi all’unanimità, ha votato un ordine del giorno i n cui chiede al consiglio regionale di istituire la città metropolitana composta da 13 comuni:Cagliari, Quartu, Selargius, Assemini, Capoterra, Sestu, Monserrato, Sinnai, Quartucciu, Elmas, Settimo San Pietro, Maracalagonis, Decimomannu. Il Pd del consiglio regionale ha raccolto la richiesta e ieri i consiglieri Marco Meloni, Marco Espa e Chicco Porcu hanno presentato una proposta di legge. Tutto dipende dal consiglio regionale, la legge nazionale istituisce otto aree metropolitane e dà facoltà di crearle alle regioni a statuto speciale.Trasporti, urbanistica, rifiuti, porti, aeroporti, occupazione, sono i settori in cui i comuni cedono la sovranità decisionale e lavorano in accordo con gli altri.Serve?Sì, anche «per contenere i costi»: appalti e acquisiti si farebbero una sola volta e per tutti. Il punto è come arrivarci, il dibattito comincia.
CAGLIARI Una città metropolitana con sindaco, giunta e un consiglio di 34 consiglieri tutti votati direttamente dai cittadini dell’area che dovrà essere definita nei suoi confini e quindi costituita soltanto in seguito a un referendum consultivo. La democrazia è salva, ma parlare di nuovi organismi elettivi in un momento in cui si stanno cancellando le province perché centri di costo senza eccessiva capacità di azione amministrativa appare un controsenso. I consiglieri Espa, Meloni e Porcu non si sono sottratti alla domanda: ma siete sicuri che servano nuovi organismi elettivi che rischiano di essere considerati un modo per rimediare alla soppressione delle province?Espa: «La città metropolitana è vissuta come una realtà che culturalmente c’è già». Porcu: «L’ente intermedio non è il male, il male è quando non si centrano gli obbiettivi. Noi pensiamo che l’area di Cagliari abbia bisogno di una governance forte, scelta dai cittadini e riconoscibile». Meloni: «Una governance forte riduce i costi perché la città metropolitana diventa stazione unica appaltante e centrale unica di acquisto, inoltre nella proposta di legge c’è un preciso vincolo di costo dell’intero organismo». (a.s.)