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Discorsi intorno alla poverà, di Aide Esu
contributo di Marco Espa
24/12/2009 11:21
Le riflessioni di Aide (che condivido fortemente per la "filosofia pratica" che sottointende, in particolare i tre capisaldi citati all'inizio dell'articolo, che sono e rimangono la via maestra per tutte le politiche di inclusione che vogliono partire da non discriminazione e pari opportunità, rispetto dei diritti umani) mi fanno venire in mente tanti discorsi che hanno attraversato la politica del centrosinistra in questi ultimi anni. Sarò un po' prolisso ma qui c'è spazio...e mi discosto un pò dal suo ambito.
Parto dalla mia esperienza personale, non ne posso fare a meno, il privato è pubblico... come nel '68! Ho deciso di impegnarmi in politica attiva, nei partiti per dire meglio, quando nel 1999 ad un convegno su questioni intorno alla disabilità ho sentito un consigliere regionale dire ad un gruppo di persone con disabilità " Questo te lo fatto avere io, la carrozzella te lo data io, il terapista te lo fatto avere io, a te ti mando in istituto io ecc. ecc." Un'umiliazione che era chiaramente l'humus di un sistemo consolidato di potere. La rabbia e lo scandalo per me era così irrefrenabile che ho dovuto sfogarlo ... nell'impegno istituzionale!
Dico questo perchè venivo da una lunga esperienza associativa, un movimento democratico regionale e nazionale, di persone con gravi disabilità e loro familiari che della propria pelle volevano decidere il loro futuro, sentivano forte l'esigenza un processo di autodeterminazione contro ogni forma di pietismo, assistenzialismo, commiserazione. Volevamo partire dal riconoscimento dei diritti, dal voler uscire da una situazione di esclusione sociale per abbattere gli stereotipi e combattere le forme di stigmatizzazione. Ci piaceva condividere, le responsabilità, non essere oggetti di attenzione da parte di alcuno, coprogettare i nostri percorsi. Avere pari opportunità, poter avere individualmente e collettivamente la possibilità di essere una risorsa, trasformare le politiche che ci riguardavano da assistenzialistiche a caratterizzate per il rispetto dei diritti umani di ciascuno e di tutti. Abbiamo promosso e messo in campo, facendo arrabbiare chi ci voleva rinchiusi negli istituti, alimentando il solito florido business sulle persone rinchiuse, tutta la questione dei progetti personalizzati coprogettati con gli enti locali, dove per la prima volta un intervento sociale di sostegno deve essere cofirmato dall'Istituzione e dall'utente, pena la sua nullità.
Ecco, di tutte queste cose che cito non per vanagloria ma ? per permettermi di dire che ancora qualcuno delle grandi menti del centrosinistra isolano mi si rivolge come " sei il ******** della sinistra, bravo, ti "occupi" dei disabili, senti conosco uno che ha un figlio con problemi, non è che me lo fai ricoverare da qualche parte che è meglio per tutti? " In questi ultimi anni, su queste cose, molte cose sono cambiate in meglio. In particolare in Sardegna rispetto all'Italia. Ma ancora, quando si parla di sociale, ognuno è autorizzato a dire quello che vuole, siamo fintamente tutti esperti perche in realtà non ci interessa, abbiamo subbapaltato, di queste cose se ne occupa lui, non vogliamo entrarci tranne quando si tratta di riscuotere il conto elettorale, non distinguiamo il diritto di una persona pur in difficoltà di vivere il suo territorio, la sua comunità con la possibilità di chiuderlo in una struttura. E lasciamo spazio all'assistenzialsmo di maniera.
In consiglio regionale, durante l'ultima finanziaria, si contavano sulle dita gli interventi riguardanti le politiche del lavoro piuttosto che quelli sul risanamento dei conti, tutti molto precisi e scientificamente inoppugnabili, ma quando iniziavamo a parlare sul merito delle politiche sociali, tutti divengono esperti, ognuno dice quello che vuole, strumenti di analisi non ne utilizza nessuno, si confondono politiche per il sostegno alle persone e alle famiglie con le misure assistenzialistiche per i senza reddito, pietà, carità, ma insomma (la maggioranza ci dice) non abbiamo i soldi per poter coprire i problemi di tutti i casi pietosi che vengono manifestati... il sociale uguale casi pietosi o buon cuore.
Per questo, pensando a casa mia, alle proposte che devono venire dal centrosinistra, la nostra visione non può che essere "sociale", civile. Anche quando parliamo di situazioni estreme, di povertà come di esclusione sociale, dobbiamo sempre partire dai bisogni coniugati con i diritti dei cittadini, non dagli interessi economici o politici di qualcuno, non con il senso di fastidio che Aide ha ricordato vedendo gesti di stizza contro persone in stato di povertà.
Sociale non è una parolaccia. Ancora oggi esistono in Sardegna nel centrosinistra i salotti buoni dove poche persone credono di determinare ciò che è "cool" per le strategie future di sviluppo per la Sardegna? Qualcuno crede che parlare di sociale significa occuparsi di servizi sociali. E' il grande errore in cui cadiamo spesso come centrosinistra. Una mia amica ex deputato della sinistra storica al parlamento mi ha ricordato ancora: mi dicevano che devo lasciar perdere il sociale, non importa a nessuno, non andrai da nessuna parte. Permane ancora questa mentalità? Abbiamo un'arma di riscatto potentissima e non la sfruttiamo.Credo che sociale e sviluppo vanno coniugati assieme. La Sardegna è allo sbando per quanto riguarda la coesione sociale e ha paura del futuro. Le persone sono più sole, le relazioni diminuiscono, l'emergenza apre strade all'arrangiarsi e alla disperazione di chi poi segue il politico del "ci penzu deu".
Credo che la visione sociale dello sviluppo e dell'economia parte innanzitutto dal rafforzamento e dall'aumento della qualità delle relazioni tra i cittadini e con la loro amministrazione. Solo un esempio: gli anziani si sentono sicuri non se vedono aumentare il numero dei vigilantes sul territorio ma se sanno di poter contare su diritti di cittadinanza che assicurano la presenza capillare di negozi e servizi sul territorio o su un comune che piuttosto che proporre in caso di non autosufficienza lo sradicamento in un istituto garantisce il suo intervento nella propria casa. Senza strumenti reali di partecipazione sociale dei cittadini non si potrà mai più fare un Piano Urbanistico ambientale, un Bilancio comunale, un Piano sociale, un parcheggio, il ripascimento del Poetto (che infatti è stato un disastro).
Questa è la visione di una "Sardegna Sociale", la cui priorità è la costruzione di una società più coesa, più forte ed equilibrata in tutti i campi. Una coesione che genera il capitale sociale requisito indispensabile per far crescere la comunità e creare le condizioni anche per la competitività e lo sviluppo del sistema economico regionale e urbano. E poi, per dare cittadinanza a tutti, chiamiamola la prima opera sociale...cambiare la macchina amministrativa, rivoluzionarla. Basta con la politica de "is amigus", da tutte le parti. Penso al comune di Cagliari, dove la cultura amministrativa è totalmente permeata dal ruolo politico dei dirigenti, un non senso sia politico che amministrativo. Altro che separazione delle funzioni. (tra parentesi Cagliari è un tema che deve essere prioritario nell'agenda politica dell'intero centrosinistra sardo, se non affrontiamo pubblicamente i perchè del nostro mancato radicamento in città non cambieremo stabilmente le sorti della Sardegna).
Ci dobbiamo rendere conto che la rivoluzione deve coinvolgere e formare una vera e nuova classe dirigente pubblica, moderna, che, oltre che della legalità, della relazione e della resa del conto faccia il senso stesso della sua professionalità. La rivoluzione procede orizzontalmente.
Parto dalla mia esperienza personale, non ne posso fare a meno, il privato è pubblico... come nel '68! Ho deciso di impegnarmi in politica attiva, nei partiti per dire meglio, quando nel 1999 ad un convegno su questioni intorno alla disabilità ho sentito un consigliere regionale dire ad un gruppo di persone con disabilità " Questo te lo fatto avere io, la carrozzella te lo data io, il terapista te lo fatto avere io, a te ti mando in istituto io ecc. ecc." Un'umiliazione che era chiaramente l'humus di un sistemo consolidato di potere. La rabbia e lo scandalo per me era così irrefrenabile che ho dovuto sfogarlo ... nell'impegno istituzionale!
Dico questo perchè venivo da una lunga esperienza associativa, un movimento democratico regionale e nazionale, di persone con gravi disabilità e loro familiari che della propria pelle volevano decidere il loro futuro, sentivano forte l'esigenza un processo di autodeterminazione contro ogni forma di pietismo, assistenzialismo, commiserazione. Volevamo partire dal riconoscimento dei diritti, dal voler uscire da una situazione di esclusione sociale per abbattere gli stereotipi e combattere le forme di stigmatizzazione. Ci piaceva condividere, le responsabilità, non essere oggetti di attenzione da parte di alcuno, coprogettare i nostri percorsi. Avere pari opportunità, poter avere individualmente e collettivamente la possibilità di essere una risorsa, trasformare le politiche che ci riguardavano da assistenzialistiche a caratterizzate per il rispetto dei diritti umani di ciascuno e di tutti. Abbiamo promosso e messo in campo, facendo arrabbiare chi ci voleva rinchiusi negli istituti, alimentando il solito florido business sulle persone rinchiuse, tutta la questione dei progetti personalizzati coprogettati con gli enti locali, dove per la prima volta un intervento sociale di sostegno deve essere cofirmato dall'Istituzione e dall'utente, pena la sua nullità.
Ecco, di tutte queste cose che cito non per vanagloria ma ? per permettermi di dire che ancora qualcuno delle grandi menti del centrosinistra isolano mi si rivolge come " sei il ******** della sinistra, bravo, ti "occupi" dei disabili, senti conosco uno che ha un figlio con problemi, non è che me lo fai ricoverare da qualche parte che è meglio per tutti? " In questi ultimi anni, su queste cose, molte cose sono cambiate in meglio. In particolare in Sardegna rispetto all'Italia. Ma ancora, quando si parla di sociale, ognuno è autorizzato a dire quello che vuole, siamo fintamente tutti esperti perche in realtà non ci interessa, abbiamo subbapaltato, di queste cose se ne occupa lui, non vogliamo entrarci tranne quando si tratta di riscuotere il conto elettorale, non distinguiamo il diritto di una persona pur in difficoltà di vivere il suo territorio, la sua comunità con la possibilità di chiuderlo in una struttura. E lasciamo spazio all'assistenzialsmo di maniera.
In consiglio regionale, durante l'ultima finanziaria, si contavano sulle dita gli interventi riguardanti le politiche del lavoro piuttosto che quelli sul risanamento dei conti, tutti molto precisi e scientificamente inoppugnabili, ma quando iniziavamo a parlare sul merito delle politiche sociali, tutti divengono esperti, ognuno dice quello che vuole, strumenti di analisi non ne utilizza nessuno, si confondono politiche per il sostegno alle persone e alle famiglie con le misure assistenzialistiche per i senza reddito, pietà, carità, ma insomma (la maggioranza ci dice) non abbiamo i soldi per poter coprire i problemi di tutti i casi pietosi che vengono manifestati... il sociale uguale casi pietosi o buon cuore.
Per questo, pensando a casa mia, alle proposte che devono venire dal centrosinistra, la nostra visione non può che essere "sociale", civile. Anche quando parliamo di situazioni estreme, di povertà come di esclusione sociale, dobbiamo sempre partire dai bisogni coniugati con i diritti dei cittadini, non dagli interessi economici o politici di qualcuno, non con il senso di fastidio che Aide ha ricordato vedendo gesti di stizza contro persone in stato di povertà.
Sociale non è una parolaccia. Ancora oggi esistono in Sardegna nel centrosinistra i salotti buoni dove poche persone credono di determinare ciò che è "cool" per le strategie future di sviluppo per la Sardegna? Qualcuno crede che parlare di sociale significa occuparsi di servizi sociali. E' il grande errore in cui cadiamo spesso come centrosinistra. Una mia amica ex deputato della sinistra storica al parlamento mi ha ricordato ancora: mi dicevano che devo lasciar perdere il sociale, non importa a nessuno, non andrai da nessuna parte. Permane ancora questa mentalità? Abbiamo un'arma di riscatto potentissima e non la sfruttiamo.Credo che sociale e sviluppo vanno coniugati assieme. La Sardegna è allo sbando per quanto riguarda la coesione sociale e ha paura del futuro. Le persone sono più sole, le relazioni diminuiscono, l'emergenza apre strade all'arrangiarsi e alla disperazione di chi poi segue il politico del "ci penzu deu".
Credo che la visione sociale dello sviluppo e dell'economia parte innanzitutto dal rafforzamento e dall'aumento della qualità delle relazioni tra i cittadini e con la loro amministrazione. Solo un esempio: gli anziani si sentono sicuri non se vedono aumentare il numero dei vigilantes sul territorio ma se sanno di poter contare su diritti di cittadinanza che assicurano la presenza capillare di negozi e servizi sul territorio o su un comune che piuttosto che proporre in caso di non autosufficienza lo sradicamento in un istituto garantisce il suo intervento nella propria casa. Senza strumenti reali di partecipazione sociale dei cittadini non si potrà mai più fare un Piano Urbanistico ambientale, un Bilancio comunale, un Piano sociale, un parcheggio, il ripascimento del Poetto (che infatti è stato un disastro).
Questa è la visione di una "Sardegna Sociale", la cui priorità è la costruzione di una società più coesa, più forte ed equilibrata in tutti i campi. Una coesione che genera il capitale sociale requisito indispensabile per far crescere la comunità e creare le condizioni anche per la competitività e lo sviluppo del sistema economico regionale e urbano. E poi, per dare cittadinanza a tutti, chiamiamola la prima opera sociale...cambiare la macchina amministrativa, rivoluzionarla. Basta con la politica de "is amigus", da tutte le parti. Penso al comune di Cagliari, dove la cultura amministrativa è totalmente permeata dal ruolo politico dei dirigenti, un non senso sia politico che amministrativo. Altro che separazione delle funzioni. (tra parentesi Cagliari è un tema che deve essere prioritario nell'agenda politica dell'intero centrosinistra sardo, se non affrontiamo pubblicamente i perchè del nostro mancato radicamento in città non cambieremo stabilmente le sorti della Sardegna).
Ci dobbiamo rendere conto che la rivoluzione deve coinvolgere e formare una vera e nuova classe dirigente pubblica, moderna, che, oltre che della legalità, della relazione e della resa del conto faccia il senso stesso della sua professionalità. La rivoluzione procede orizzontalmente.
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