Assemblea tra i palazzoni dopo la lite con il Comune: la rabbia degli abitanti, il discorso del presidente. (La Nuova Sardegna 29 aprile 2008, Umberto Aime)
CAGLIARI. L’autista della Regione è il più imbarazzato della flottiglia di viale Trento: come faccio a star dietro a un presidente, che s’è infilato in piazza Falchi neanche fosse Montecitorio? Non sa che fare, l’uomo in grigio. I palazzoni di Sant’Elia sono dappertutto. Attorno a lui e a Renato Soru, che giorni fa aveva preso appuntamento con chi abita (male, malissimo) alle “Lame”, agli “Anelli”, in via Schiavazzi e dovunque ci sia del cemento a cubi scrostato, mangiato e abbandonato. Eccolo, il presidente tra immondezza, carcasse di video-poker, grondaie squarciate e tubi che sputano acqua nera. Lo aveva detto Soru: «Qualunque cosa accada con il Comune, lunedì voglio parlare con la gente». Quello che è accaduto si sa: l’altro consiglio di via Roma, quello municipale, ha stracciato l’accordo con la Regione per Sant’Elia, e ieri Soru s’è trovato davanti solo gente esasperata e incazzata. Lui ha preso il megafono e parlato lo stesso: complimenti per il coraggio.
Dell’altro fronte, il municipio, s’è visto solo l’assessore all’urbanistica Giovanni Maria Campus, non Emilio Floris, anche se il sindaco avrebbe dovuto esserci se non altro per cinismo politico. Qui l’ex Forza Italia è maggioranza con una sezione imbandierata ancora alla vecchia maniera dopo aver sfrattato niente meno che Rifondazione comunista. A tre passi da quei vessilli per lui nemici, c’è solo Renato Soru, in un completo blu che presto finirà preda dell’intonaco, viene giù come se fosse forfora, e che ai piedi ha delle scarpe nere e lucide all’inglese, a fine missione offese da un solco lungo e spesso quanto la chiave appena strisciata sulla carrozzeria dorata del Suv al seguito del presidente. Non sono l’abito e le scarpe a far la differenza, anche se la platea veste casual dalla testa ai piedi. Sono i toni a far capire da subito che ci sarà un clima da battaglia: Soru con il megafono a pile, gli altri a gridare. Cosa? «Ci siamo rotti le palle», «Non vogliamo più vivere in un centro tumori», «Ho il diritto di uscire e invece quattro balordi mi guardano come se volessero ammazzarmi ogni volta che io li guardo»: queste sono le grida di uomini e donne, i bambini piangono, che dell’ultima lite tra Regione e Comune dicono di aver capito solo “Destra, Sinistra e Centro siete tutti uguali: di Sant’Elia ve ne sbattete”. È questa la sintesi di Billo, il capopolo di questa piazza, dove l’umore è più da Vaffa-Day che per il dialogo. Ed è in questo momento che lo staff di viale Trento ha temuto il peggio: attenti, qui finisce in linciaggio, è stato il passaparola tra chi si vedeva già travolto dallo tsunami in avvicinamento. Paurosi, quello del team, non il loro capo, che ha esordito: «Sono qui come promesso, siamo tutti uomini di parola. Eccomi: cominciamo, questo è il mio numero di telefono, 070606700, chiamatemi, convocatevi per lavorare insieme». Bravo, presidente, applausi per il presidente, perché la folla s’è ammutolita in un secondo, s’è messa ad ascoltare. Miracolo di comunicazione, miscelato benissimo con un populismo stavolta per nulla stucchevole: Ok Renato Soru, benvenuto a Sant’Elia. Il governatore ha litigato ancora un po’, solo con il megafono, per poi andare dritto nel suo ragionamento: «Sicuramente per colpa mia e anche di altre persone, non vi abbiamo ancora potuto spiegare tutto quello che si può fare per il vostro quartiere, ma per farlo vi chiedo di mettere da parte i pregiudizi e le ostilità preventive». Le duecento persone di piazza Falchi lo hanno seguito ancora, con le sole interruzione che sono inevitabili quando ciascuno ha un problema: il contatore dell’acqua manomesso da chi si fa ancora le pere, un ascensore murato su due, il tipaccio sottocasa, i cagliaritani che girano la faccia quando di giorno passano a Sant’Elia ma la notte sono qui per comprare hascisc e cocaina, come disse tempo fa il parroco in una denuncia rimasta inascoltata. C’è da chiedersi: chi sono i veri nemici di un quartiere che altri, non qui, chiamano ancora ghetto? Qualche nemico vivrà anche nei palazzoni Del Favaro, ma molti - dice Antonello Puddu, segretario regionale dell’Unitat, il sindacato degli inquilini della Uil - stanno in quel consiglio comunale, governato dal centro-destra, che ha bocciato l’accordo di programma, anche se è stata una bocciatura tecnica e non politica, s’affretterà a giustificarsi l’assessore Campus. Renato Soru sull’argomento ha una sua idea (è molto politica) ma non può svelarla dopo aver mandato a dire Che sia il sindaco a riscrivere l’intesa sul Betile e sulla riqualificazione urbana poi veniamo insieme, io e lui, a discuterlo tra la gente. Emilio Floris non avrebbe ancora una sua controproposta ma Soru è venuto lo stesso. Per dire: «Qui non è più dignitoso vivere. Ci sono molte decine di milioni, li ha Area, l’ex Iacp, per ristrutturare e trasformare questo quartiere grigio in un quartiere colorato e bello. Dove ci sarà spazio per case accoglienti, alberghi, ristoranti e laboratori artigiani al posto di appartamenti vecchi, garage sbarrati, ringhiere-prigione». Per dire ancora: «Nessuno vuole mandarvi via. Pensavamo di abbattere i palazzoni, ma gli architetti ci hanno detto che possono essere recuperati e dunque nessuno di voi sarà cacciato da casa». Per aggiungere: «Sono pronto ad aiutare chiunque, pescatori e donne, imbianchini e ragazze, voglia mettere su una cooperativa e fare il piccolo imprenditore, in attesa del Betile che da solo porterà almeno cento posti di lavoro». Per chiudere, prima di uno coreografico sopralluogo nell’appartamento di Billo, il capopolo: «Vi chiedo di aiutarmi fisicamente a far rinascere Sant’Elia». Comune permettendo.
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