24 febbraio 2009

PD: si volta pagina

Si è appena conclusa una settimana politica che per il Partito democratico ha avuto, grazie ad uno scatto di responsabilità, l’esito di voltare pagina. Certo non sarebbe stato necessario questo travaglio se questa stessa responsabilità fosse stata esercitata giorno per giorno, ma vorrei esprimere qui alcune ragioni e condizioni che possono far comprendere che la costruzione del progetto politico democratico è una questione seria e complessa in Italia. E lo dicono le stesse dimissioni di Veltroni, date con serenità e nella verità, senza sbattere le porte, per il bene di un proget to politico per cui ha già continuato a lavorare. Un gesto insolito e, per me almeno, una lezione su come la politica sia un servizio al bene comune e non un luogo in cui costruire una propria carriera. Ma esse hanno avuto soprattutto un effetto politico e hanno prodotto la virata che serviva. Finalmente abbiamo anteposto il bene collettivo alle nostre persone, alla visibilità, alla conta della propria influenza nei meccanismi di partito. Fardello vecchio che stava indebolendo un partito che ha ragione di essere solo se mette in atto modalità nuove. L’elezione di Dario Franceschini a segretario fino al Congresso del prossimo ottobre, il suo schietto e apprezzato discorso, la presa di un nuovo impegno manifestat o negli interventi che sono seguiti, appartengono ormai ad una nuova pagina. Bisognerà però essere conseguenti nei prossimi giorni e convertire immediatamente tutte le correnti e correntine in un apporto culturale per l’intero progetto democratico. Si dovrà anche cambiare corso a livello regionale, ovunque ci si deve sbarazzare di comportamenti che non riflettono il Codice etico e il Manifesto del Partito democratico. Parimenti vanno abbandonate posizioni antiriformiste mantenute magari solo per evitare la fatica di spiegarci con gli elettori, poiché in tutti i settori ed ora soprattutto per far fronte alla grave crisi economica è principalmente compito di un partito riformista indicare soluzioni inedite e coraggiose di cambiamento; è principalmente compito del PD vigilare che ogni cambiamento sia a favore dei più deboli, che anteponga il valore delle persone, la giustizia per tutti i popoli, e relazioni di uguaglianza, di libert à e di fraternità. La responsabilità, dunque, continua e ci misurerà davanti ai cittadini su queste e su molte altre scelte.

La salute e la forza del Partito democratico non attengono solo ad un partito, sono necessarie alla democrazia italiana, come molti commentatori sottolineano. E’ necessaria, infatti, in questi tempi di grave – gravissima - incertezza democratica, una opposizione seria di consistenza e competenza tale, da poter esercitare oggi un vero potere di controllo e da poter aspirare domani di essere scelto dagli elettori per guidare il Paese. L’importanza di una tale opposizione, se ci servisse una autorevole testimonianza, era contenuta quale appello accorato nella relazione finale della commissione sulla P2 guidata da Tina Anselmi. Con ciò non affermo che il PD da solo debba rappresentare l’opposizione, ma che essa ha bisogno di un nucleo consistente numericamente e politicamente e che questo nucleo è il PD. E’ f acile intuire come sarebbe inefficace, quasi pericolosa, una opposizione spezzettata e rivale all’interno di se stessa oppure con il baricentro in gruppi politici che non sanno se stare a destra o a sinistra.

E’ bene, certamente, che si lavori per le future alleanze di centro sinistra, anche con contatti di esponenti del PD con la sinistra o con il centro di Casini. Ma non è bene farlo in modo equivoco e quasi si fosse attirati da queste sirene, senza essere consapevoli della propria identità, della progettualità e dell’importanza dell’esistenza in Italia del partito democratico.

Dobbiamo quindi rimettere a fuoco che cosa è e perché esiste il partito democratico. Esso nasce per superare contrapposizioni ideologiche, nasce come incontro tra culture politiche riformiste e la forza di questa novità è anche, paradossalmente, la sua grande vulnerabilità presa a bersaglio dai poteri che nel nostro Paese si contrappongono a questo progetto. E qui il pensiero corre ad Aldo Moro che fu drammaticamente fermato. Ci si deve poi chiedere perché il Partito democratico non è decollato nel ’96 dopo la prima vittoria de L’Ulivo; perche Prodi, che aveva come preciso obbiettivo politico lo strumento del PD per rinnovare il Paese, fu stoppato per due volte. Siamo consapevoli in molti che oggi il gesto di Veltroni ha salvato il PD da mosse interne ed esterne che lo avrebbero forse por tato ad una scissione.

La pagina che l’Assemblea democratica di sabato ha riaperto dà quindi una nuova possibilità a noi democratici di spenderci con più determinazione e con più generosità non tanto per il nostro partito, ma per dare solidità e forza ad un progetto politico rivolto al Paese.

In altre parole, le grandi tradizioni politiche che vi concorrono non lo fanno per prendere più voti della somma di DS e Margherita. Lo fanno per costruire in Italia un nuovo scenario politico e culturale che ci porti fuori da anni bui, dall’immobilismo e dall’ideologismo di questo Paese. Un percorso che radici storiche, fondamenta di pensiero, esponenti illuminati hanno già tracciato. Cito solo, dal carteggio Lajolo/Giordani, un comunista e un popolare, le parole del direttore de L’Unità, nel 1950 (!) “discutere …, ragionare, cercare una base per intendersi e poter lavorare insieme” e precisava “per una effettiva distensione e unità del Paese”. E l’Italia merita dopo tante tensioni di sperimentare questi effetti di diste nsione e di unità. I cattolici democratici debbono scuotersi di dosso un senso di inferiorità e di inconciliabilità della loro cultura. Debbono avvertire come parte dei propri valori il dialogo culturale, come dice quel passo della Gaudium et Spes riportato nell’ultimo numero de La civiltà cattolica: “I fedeli vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo e si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, di cui la cultura è espressione.”

L’incontro di culture politiche riformiste diverse nel partito democratico (e analogamente dovrebbe essere nel centrodestra per le diverse visioni del conservatorismo) è di enorme importanza per dare un’anima alla democrazia. Non solo a nessuno è richiesto, ma nessuno è bene che riduca i valori di cui è portatore. L’obbiettivo non è l’unitarismo, non è il pensiero unico e tanto meno il pensiero debole. Al contrario in politica il dialogo, fatto con apertura e competenza, crea rispetto dei valori dell’altro, accoglimento di ciò che di essi posso condividere, arricchimento del patrimonio comune che si va costruendo. La verità viene ricercata insieme nella relazione, il bene comune si accresce. Di questa dinamica – di unità che non è staticit&agra ve;, ma è relazione tra le differenze - deve essere nutrito il pensiero del Partito democratico. Questo non è solo un obbiettivo politicamente denso ed entusiasmante, pienamente rispondente agli obiettivi della cultura cattolica-democratica e di quella sociale e riformista, ma è una nostra comune grande responsabilità che determinerà la serietà e la continuità dell’impegno espresso nell’Assemblea del PD.


Di Letizia de Torre, mia amica, deputato al parlamento del PD

1 commento:

Enrico Pistelli ha detto...

Caro Marco,
ho letto le tue belle e tante parole sul PD.
Anch'io guardo al PD dalla regione Veneto come all'ultima ancora di salvezza per la Democrazia in Italia e, in prospettiva, nel mondo.
Devo però ammettere che nulla si è finora realizzato di quello che speravo.
Essere riformisti non significa nulla, perché si può essere riformisti costruendo centrali nucleari o installando pannelli solari.
Si può essere riformisti integrando gli stranieri nel nostro paese o facendo più figli noi per sopperire alla mancanza di manodopera.
Si può essere riformisti sulla Scuola e l'Università creando nuove istituzioni di élite e privatistiche o aumentando l'efficienza delle istituzioni democratiche pubbliche già esistenti.
E potrei continuare con la sanità, il lavoro, la famiglia, l'ambiente, il commercio, l'agricoltura ...
E il PD quali scelte ha operato fin'ora? Nessuna, il PD è un cartello elettorale infarcito di burocrati e di amministratori (perlomeno lo è quello che ho conosciuto io).
In questo senso non lo si può definire un partito tradizionale.
Eppure la maggioranza di coloro che ne fanno parte ancora così lo intendono: una struttura gerarchica, solida, radicata nel territorio, com'era il PCI-PDS-DS e com'era, sotto altre forme, la DC.
Un contenitore vecchio per un'idea nuova ... NON FUNZIONA.
Pensaci, ragiona con i tuoi colleghi su questo, provate ad aprire la mente e ad innovare veramente, creando un PD della gente.
Altrimenti, alle prossime elezioni il PD scenderà sotto il 20%.
Esagero? Forse, ma quel poco di esperienza fatta in questi anni me lo conferma.
Ciao e fammi sapere cosa avete deciso!
Enrico Pistelli