22 marzo 2009

Quartu: Mancano le risorse in Comune?

QUARTU. La Regione non ha ancora
trasferito ai comuni gli stanziamenti destinati al finanziamento dei
piani personalizzati per le persone
svantaggiate e ora diversi cittadini rischiano
di perdere l'assistenza di medici
e specialisti.
La copertura economica € stata garantita
solo fino al dicembre scorso e
fino ad oggi sono state le famiglie interessate
ad anticipare gli onorari degli
operatori. Il discorso cambia perƒ se
le famiglie interessate non possono
permettersi di saldare i compensi e rischiano
di veder naufragare i progetti
personalizzati.
La situazione € la medesima in tutta
la Sardegna, anche se alcuni comuni
hanno ovviato al problema mettendo
mano al portafogli e anticipando le
spese per poi reintegrare la spesa grazie
ai fondi regionali di prossima erogazione.
„ il caso, ad esempio, di Cagliari
e Capoterra, come ricordato dal
consigliere regionale del Pd ed ex presidente
dell'Associazione bambini cerebrolesi
Marco Espa: ¬¬Molti comuni
hanno avviato un percorso virtuoso
per cui inseriscono in bilancio i finanziamenti
regionali e anticipano i soldi
agli utenti: hanno capito che i progetti
legati alla legge 162 sono un priorit
 rispetto ad altre spese e riescono
comunque a garantire l'assistenza alle
persone svantaggiate. In ogni caso,
entro una decina di giorni la Regione
erogher circa 45 milioni di euro che
saranno impiegati per il finanziamento
dei progetti attivati tra gennaio e
giugno­­. Il problema dovrebbe dunque
risolversi entro marzo. Sta di fatto
che non sono pochi gli utenti che
negli ultimi giorni hanno bussato alle
porte del municipio per chiedere aiuto
ed evitare di far naufragare i progetti.
C'€ perƒ un piccolo problema.
Di cassa. Ogni anno il comune destina
al finanziamento dei piani personalizzati
oltre due milioni e 200 mila euro
e al momento le casse di via Porcu
non possono permettersi di alleggerirsi
ulteriormente. Senza dimenticare
che il bilancio non € ancora stato approvato
e ogni spesa deve per forza di
cose passare dal documento di programmazione
finanziaria. (p.s.)

12 marzo 2009

Milano: La Sardegna esporta buone prassi nel Sociale


COMUNICATO STAMPA 12 marzo 2008

Domani a Milano Marco Espa (Consigliere Regionale) interviene insieme a Davide Tagliacarne per spiegare ai lombardi il modello sardo della legge di sostegno alle persone con disabilità

La straordinaria storia di Davide Tagliacarne, studente sardo con disabilità, promotore del convegno insieme alla Facoltà di Scienze Politiche e laureatosi a Milano proprio grazie alla legge sarda sui progetti personalizzati per persone con disabilità.


Venerdì 13 marzo Marco Espa interverrà nel Convegno “Legge 162/98. Una possibilità di scelta” che si terrà a Milano a partire dalle 14.30, organizzato dalla Facoltà di Scienze Politiche di Milano.

“Credo sia motivo di orgoglio per tutta la Sardegna e per noi Sardi – commenta Marco Espa Consigliere Regionale PD – presentare il nostro modello di buona prassi sull’applicazione della legge 162/98, che vede la Sardegna prima regione in Italia nel finanziare 20mila persone in situazione di handicap grave con ben 230 milioni di euro in questi anni.”

Da segnalare la straordinaria storia di Davide Tagliacarne, è lui in prima persona il beneficiario di uno dei progetti personalizzati sardi della legge 162 (predisposto in alleanza dalla sua famiglia, dal Comune di Capoterra e dalla Regione Sarda): studente Sardo con disabilità della Facoltà di Scienze Politiche, infatti si è laureato a Milano la scorsa sessione proprio con una tesi sul modello Sardo dell'applicazione della legge 162/98 (piani personalizzati di sostegno alle persone con disabilità); la sua esperienza ha suscitato grande interesse anche nelle istituzioni lombarde tanto che lo stesso Davide ha promosso, con la Facoltà di Scienze Politiche, il Convegno di domani, invitando le istituzioni lombarde e Marco Espa per presentare l’esperienza sarda, già presentata a Berlino nel 2007 all'European Social Network”, la conferenza europea dei Direttori dei servizi sociali.


Porterò l’esperienza prima di tutto da familiare – spiega Espa - abbiamo fortemente voluto l’applicazione di questa legge in Sardegna; per le persone con disabilità e le loro famiglie prima c’erano solo servizi calati dall’alto, oggi ci sono circa 20 mila progetti tutti personalizzati e coprogettati tra i diretti interessati e le istituzioni,( nel 2000 i progetti presentati erano poco più di 200), con uno stanziamento di risorse complessivo di circa 230 milioni di euro La Regione Sardegna – ricorda infine Espa - per il 2009 stanzia 132 milioni di euro per il Fondo sulla Non Autosufficienza (la legge 162/98 fa parte di questo fondo), prima regione in Italia.


Tra glia altri ospiti del Convegno il Presidente Regione Lombardia Roberto Formigoni e l'Assessore Famiglia e Solidarietà Sociale Giulio Boscagli

24 febbraio 2009

Espa sulla Nuova Sardegna: Il Pd riparta da Soru e dalla linea del rinnovamento

PD: si volta pagina

Si è appena conclusa una settimana politica che per il Partito democratico ha avuto, grazie ad uno scatto di responsabilità, l’esito di voltare pagina. Certo non sarebbe stato necessario questo travaglio se questa stessa responsabilità fosse stata esercitata giorno per giorno, ma vorrei esprimere qui alcune ragioni e condizioni che possono far comprendere che la costruzione del progetto politico democratico è una questione seria e complessa in Italia. E lo dicono le stesse dimissioni di Veltroni, date con serenità e nella verità, senza sbattere le porte, per il bene di un proget to politico per cui ha già continuato a lavorare. Un gesto insolito e, per me almeno, una lezione su come la politica sia un servizio al bene comune e non un luogo in cui costruire una propria carriera. Ma esse hanno avuto soprattutto un effetto politico e hanno prodotto la virata che serviva. Finalmente abbiamo anteposto il bene collettivo alle nostre persone, alla visibilità, alla conta della propria influenza nei meccanismi di partito. Fardello vecchio che stava indebolendo un partito che ha ragione di essere solo se mette in atto modalità nuove. L’elezione di Dario Franceschini a segretario fino al Congresso del prossimo ottobre, il suo schietto e apprezzato discorso, la presa di un nuovo impegno manifestat o negli interventi che sono seguiti, appartengono ormai ad una nuova pagina. Bisognerà però essere conseguenti nei prossimi giorni e convertire immediatamente tutte le correnti e correntine in un apporto culturale per l’intero progetto democratico. Si dovrà anche cambiare corso a livello regionale, ovunque ci si deve sbarazzare di comportamenti che non riflettono il Codice etico e il Manifesto del Partito democratico. Parimenti vanno abbandonate posizioni antiriformiste mantenute magari solo per evitare la fatica di spiegarci con gli elettori, poiché in tutti i settori ed ora soprattutto per far fronte alla grave crisi economica è principalmente compito di un partito riformista indicare soluzioni inedite e coraggiose di cambiamento; è principalmente compito del PD vigilare che ogni cambiamento sia a favore dei più deboli, che anteponga il valore delle persone, la giustizia per tutti i popoli, e relazioni di uguaglianza, di libert à e di fraternità. La responsabilità, dunque, continua e ci misurerà davanti ai cittadini su queste e su molte altre scelte.

La salute e la forza del Partito democratico non attengono solo ad un partito, sono necessarie alla democrazia italiana, come molti commentatori sottolineano. E’ necessaria, infatti, in questi tempi di grave – gravissima - incertezza democratica, una opposizione seria di consistenza e competenza tale, da poter esercitare oggi un vero potere di controllo e da poter aspirare domani di essere scelto dagli elettori per guidare il Paese. L’importanza di una tale opposizione, se ci servisse una autorevole testimonianza, era contenuta quale appello accorato nella relazione finale della commissione sulla P2 guidata da Tina Anselmi. Con ciò non affermo che il PD da solo debba rappresentare l’opposizione, ma che essa ha bisogno di un nucleo consistente numericamente e politicamente e che questo nucleo è il PD. E’ f acile intuire come sarebbe inefficace, quasi pericolosa, una opposizione spezzettata e rivale all’interno di se stessa oppure con il baricentro in gruppi politici che non sanno se stare a destra o a sinistra.

E’ bene, certamente, che si lavori per le future alleanze di centro sinistra, anche con contatti di esponenti del PD con la sinistra o con il centro di Casini. Ma non è bene farlo in modo equivoco e quasi si fosse attirati da queste sirene, senza essere consapevoli della propria identità, della progettualità e dell’importanza dell’esistenza in Italia del partito democratico.

Dobbiamo quindi rimettere a fuoco che cosa è e perché esiste il partito democratico. Esso nasce per superare contrapposizioni ideologiche, nasce come incontro tra culture politiche riformiste e la forza di questa novità è anche, paradossalmente, la sua grande vulnerabilità presa a bersaglio dai poteri che nel nostro Paese si contrappongono a questo progetto. E qui il pensiero corre ad Aldo Moro che fu drammaticamente fermato. Ci si deve poi chiedere perché il Partito democratico non è decollato nel ’96 dopo la prima vittoria de L’Ulivo; perche Prodi, che aveva come preciso obbiettivo politico lo strumento del PD per rinnovare il Paese, fu stoppato per due volte. Siamo consapevoli in molti che oggi il gesto di Veltroni ha salvato il PD da mosse interne ed esterne che lo avrebbero forse por tato ad una scissione.

La pagina che l’Assemblea democratica di sabato ha riaperto dà quindi una nuova possibilità a noi democratici di spenderci con più determinazione e con più generosità non tanto per il nostro partito, ma per dare solidità e forza ad un progetto politico rivolto al Paese.

In altre parole, le grandi tradizioni politiche che vi concorrono non lo fanno per prendere più voti della somma di DS e Margherita. Lo fanno per costruire in Italia un nuovo scenario politico e culturale che ci porti fuori da anni bui, dall’immobilismo e dall’ideologismo di questo Paese. Un percorso che radici storiche, fondamenta di pensiero, esponenti illuminati hanno già tracciato. Cito solo, dal carteggio Lajolo/Giordani, un comunista e un popolare, le parole del direttore de L’Unità, nel 1950 (!) “discutere …, ragionare, cercare una base per intendersi e poter lavorare insieme” e precisava “per una effettiva distensione e unità del Paese”. E l’Italia merita dopo tante tensioni di sperimentare questi effetti di diste nsione e di unità. I cattolici democratici debbono scuotersi di dosso un senso di inferiorità e di inconciliabilità della loro cultura. Debbono avvertire come parte dei propri valori il dialogo culturale, come dice quel passo della Gaudium et Spes riportato nell’ultimo numero de La civiltà cattolica: “I fedeli vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo e si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, di cui la cultura è espressione.”

L’incontro di culture politiche riformiste diverse nel partito democratico (e analogamente dovrebbe essere nel centrodestra per le diverse visioni del conservatorismo) è di enorme importanza per dare un’anima alla democrazia. Non solo a nessuno è richiesto, ma nessuno è bene che riduca i valori di cui è portatore. L’obbiettivo non è l’unitarismo, non è il pensiero unico e tanto meno il pensiero debole. Al contrario in politica il dialogo, fatto con apertura e competenza, crea rispetto dei valori dell’altro, accoglimento di ciò che di essi posso condividere, arricchimento del patrimonio comune che si va costruendo. La verità viene ricercata insieme nella relazione, il bene comune si accresce. Di questa dinamica – di unità che non è staticit&agra ve;, ma è relazione tra le differenze - deve essere nutrito il pensiero del Partito democratico. Questo non è solo un obbiettivo politicamente denso ed entusiasmante, pienamente rispondente agli obiettivi della cultura cattolica-democratica e di quella sociale e riformista, ma è una nostra comune grande responsabilità che determinerà la serietà e la continuità dell’impegno espresso nell’Assemblea del PD.


Di Letizia de Torre, mia amica, deputato al parlamento del PD

18 febbraio 2009

Marco Espa il più votato del PD e del centrosinistra in Provincia di Cagliari


Carissimi
brevemente e a caldo
una difficile sconfitta elettorale che dobbiamo saper gestire. Ma tocca a noi proteggere il cambiamento in Consiglio Regionale, la Sardegna è cambiata e non possiamo fare passi indietro.
Comunque non posso che ringraziare tutti per queste 5000 preferenze che veramente sono una grande responsabilità. Grazie davvero!

da www.marcoespa.it
I primi dati ufficiosi delle elezioni regionali potrebbero vedere Marco Espa il Consigliere Regionale più votato del PD e del Centrosinistra in Provincia di Cagliari - con circa 5.000 preferenze (nel 2004: 3.250) - davanti a Marco Meloni, Giampaolo Diana, Chicco Porcu, Cesare Moriconi, Lorenzo Cozzolino, Tore Mattana, Gianluigi Gessa e Silvio Cherchi. Si aspettano notizie più ufficiali.

i dati qui sotto riportati sono assolutamente informali e indicativi

TOTALE voti

Espa 5004
Meloni 4.790
Diana 4736
Porcu 4649

16 febbraio 2009

Noi e il corpo, di Alessandro Bergonzoni

Da L'Espresso online

L'intervento appassionato dell'attore bolognese, testimonial della Casa dei Risvegli, contro gli 'stitici orizzonti' dell'uomo. Contro il suo finto essere pietoso e la sua impossibilità di andare oltre l'audience del nulla, dove si dimostra che la religione non c'entra nulla e che dobbiamo riappropriarci dell'esperienza, della realtà.
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Una certa giornalista Rai che ha visto (o solo guardato?) Eluana anzi, il suo corpo, ha usato queste parole "bel pigiama", con la "lingua che penzolava e la bava? ", con "l'espressione dei cerebrolesi" e altre banalità gravi, non innocue e che vanno oltre il concetto di rispetto ma ciò che è peggio di intelligenza. Chiunque può decidere cosa pensare di ciò che vede e ciò che sente, ma c'è un limite a tutto.

Ma cosa è un cerebroleso? Cosa è così inguardabile o improponibile quasi come una minaccia fosse il "se vedeste"? Che idea ci si fa del danno e delle differenze, del male e della diversità? Della bellezza e della deformazione? Non sarà che a forza di guardabile, informazione, cronaca e inviati di tutti i generi, certe categorie non hanno più la capacità di discernimento, di osservazione di sensibilità, di tatto intellettuale? Troppi Grandi fratelli? Troppa realtà come alibi di fronte all'enormità dell'esistenza? Troppa tv come scuola? Con raccapriccio non mi raccapezzo più. Ma cosa avete visto fino a oggi, dove vivete? Avevate bisogno del clamore di una storia come questa per vedere i dolori i cambiamenti le metamorfosi? Che tristezza, che pochezza, che anime storte, che povertà assoluta?

Queste frasi sono inumane non la vita artificiale e la sua sovrumanità! Che pena la finta pena penosa, che basso profilo? Ma quando si insorge, quando ci si ribella al poco, al corto, al personale bieco, all'incapacità di vedere oltre? Chi potrà mai insegnare a certa stampa e a certi addetti ai lavori, non l'etica, non la morale, non la fede, o la costituzione, ma l'esistere, l'incommensurabile, il metafisico, la trascendenza?

Quale istruzione, dio, vita, presidente servirebbe, quali esempi, quale coinvolgimento, per far sì che l'uomo cominci ad allargare i suoi stitici orizzonti, le paure frustranti, questo bastarsi ormai consunto? E ci chiediamo perché interessa di più un'hostes che ciancia, ci si dimette per mancanza di attenzione, ci si stupisce per l'audience del nulla? Le risposte sono già dentro le domande: non guardiamo altro che quello che crediamo, mai oltre il
sembra, mai più in la del maledetto e solo reale, mai un sesto senso, mai energia ulteriore, solo casi, scoop, avvenimenti? Incapaci di saper avvenire, solo preda dell'avvenenza, del piacevole, del presentabile, dell'accettabile, e così lasciamo solo alla chiesa la parola anima, ad una fede la parola infinito, alla scienza e al diritto il parlare delle norme e mai dell'"enorme", dell'indicibile, dell'impossibile.

Ma in un ospedale prima di questo caso, in una rianimazione, in un manicomio, in un ospizio, ci siamo mai andati? E a vedere cosa? A cercare chi? Tutte quelle malattie rare, genetiche, invasive e devastanti che coccoliamo nelle sedi utili e importanti come Thelethon o altro, fan parte dei nostri risparmi di beneficenza o possono renderci alti e altri?

Qui non c'entra più il caso Englaro e si lasci stare il mondo di una famiglia comunque devasta; si tratta ormai di altri mondi e di altre devastazioni, è una cultura che manca a tanti di vedere dentro, la mania di pensare solo alla ricerca scientifica e mai a quella interiore, l'abitudine di parlare solo di politica, di sociale, di civile (certo necessario ma non prima di aver scavato altrove,con altre preparazioni), ma mai di oltrepassare il "posso", di urlarsi, di scendersi nella piazza interiore, di scoperchiare le fobie dell'ansia di sicurezza che dividerà sempre il malato, il diverso, il devastato, da chi sta bene (bene? Leggendo certi pareri ci sarebbe da fare sedute fiume, puntate illimitate su cosa sia il bene, il bello, il buono, l'inguardabile, degno e incredibile).

Capi di partito che credevano Eluana la stessa della foto, altri che immaginavano tubi e macchine, altri che non credevano o preferivano travisare, inventare, sperare? Non si tratta più di legge o no di testamento biologico, qui è una logica problematica, la logica di non concepire l'inconcepibile, di interessarsi alla morte solo davanti alla morte, di schieramenti e di vittorie, ma non si passa mai a cercare il sé, solo l'io, solo ciò che appare, che riusciamo e conviene, ciò che si ha, che ci accontenta allargando le braccia all'evidenza: possiamo chiederci quale evidenza per chi e per quanto ancora? Possiamo. È democratico? Lecito? Rispettoso? O bisogna stare in silenzio?

Prima di pensare come accettare il legiferare, come arrivare davanti a un notaio per il nostro libero futuro, proviamo ad aprire il dibattito nel nostro parlamento intimo, nel governo privato, nella repubblica interiore, per non farci impalare da persone che pensano senza pensieri, che confondono sogni con desideri, corpo con utilità e vivacità, vita con la "loro" vita, soddisfazioni e progetti con gioventù, esistenza unilaterale e dogmatica, quella sì, privi di forza d'anima.

Non c'entrano più chiesa e stato, scienza o giurisprudenza, giovani o diseredati, barboni o stati vegetativi, siamo noi in coma da una vita, idratati solo dalle notizie e alimentati artificialmente dal reale, dal presente, dal comodo, dall'unica verità.

Basta! No non ci basta! Che la rivelazione ci sfoderi il terzo occhio, che lo stato che ci interessa di più sia quello di cambiare stato d'animo, di giudicare quel che sembra non muoversi, fermo: gli infermi di mente mi preoccupano meno dei fermi di mente. Altri Englaro si ribellino in nome dei loro "cerebrolesi", dei loro inesistenti, dei loro spenti, chiedano a governo e presidenti ciò che spetta loro di diritto (anche questo è un diritto se si vuole pari o superiore all'autodeterminazione) così da non far più dire a certi uomini che la verità sta solo e soltanto dalla loro parte. E il dubbio? Un bel forse davanti al limite soprattutto "nostro"? Non sfiora quella giornalista così sconvolta, sconvolta da se stessa?

Smettiamo di indossare solo i panni di attore, di giornalista, di dottore, di industriale, di sano e cominciamo altri mestieri, misteri, abbracciando gli enigmi, toccando la complessità delle meraviglie, accarezzando la difficoltà imprescindibile, con un bel salto nel pieno lasciando parcheggiato il vuoto vicino alla rabbia e alla sua scusa. (E se vogliamo e voliamo dopo parliamo anche d'amore.)

Chiedo molto. Perché è di molto che abbiamo bisogno, il poco abbiamo visto i danni che fa, le metastasi culturali i tumori intellettuali che ci arreca. Forse molti di noi dovrebbero portare la scritta "posso nuocere gravemente alla salute". Certo molti possono dire io non sono così: ma come esiste il fumo passivo, esistono anche altre passività dannosissime se perpetrate, inalate subite. Anche questo rientra nelle libertà subliminali e sublimi, non scordiamolo, dato che giustamente amiano tanto la memoria? Solo che certe malattie la scienza pretende di vederle e curarle altre non le vuole vedere nè guarire perchè significherebbe mettere finalmente in dubbio la propria curassica certezza, i personali poteri (nel senso di limite camuffato), a dispetto di una potenza che all'essere umano non deve essere più preclusa se si vuole continuare a piangere, protestare, pretendere giustizia, desiderare crescere, cambiare la "nostra" condizione condizionata, o troppo umana. Non possiamo più dire di non saperlo.

Se vorremo potremo pure staccare la spina, ma almeno continuiamo ad annusare prima la rosa! Da un nauseato non sopportatore silenzioso di dogmi e da un umile e rispettoso ma non modesto amante del dubbio e della mutazione.
(13 febbraio 2009)

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Noi-e-il-corpo-di-Eluana/2066027&ref=hpsp

13 febbraio 2009

Soru e .... Famiglia Cristiana

Soru contro tutti.
Famiglia Cristiana 12 Febbraio '09, giovedì


Gigi è quel volto anonimo di cui nessuno si cura, che viene ritratto alle spalle degli uomini famosi. C’è sempre un Gigi che si sporge con il volto sorridente, un po’ di sghembo, nelle fotografie che tutti i giorni compaiono sui giornali. Non si sa esattamente chi sia, poverino. È Gigi. Ugo Cappellacci, candidato per il Popolo della libertà alla presidenza della Regione Sardegna, per dirla in gergo, non se lo fila nessuno. Per quanto si sforzi di esistere, non riesce a diventare neanche un Kagemusha del famoso film giapponese di Akira Kurosawa, la copia umana del condottiero del quale bisogna nascondere la fine per non scoraggiare le truppe.

Durante il comizio a Senorbì, un piccolo centro sopra Cagliari, nel tentativo di sembrare spiritoso e con un senso dell’autoironia che gli fa onore, ha arringato i suoi dicendo: «Ogni tanto applauditemi chiamandomi per nome, così so di esistere». È invece Cappellacci, figlio del commercialista di Berlusconi, è esistito in Sardegna, eccome! La biografia che si legge sul sito elettorale del candidato della destra nasconde totalmente i pochi mesi nei quali è stato assessore regionale al bilancio della Giunta Masala, prima dell’avvento di Soru.


Al termine del suo mandato Cappellacci pose la firma al peggior bilancio della storia dell’autonomia sarda portando il debito totale, il disavanzo della pubblica amministrazione e i mutui autorizzati per far fronte alle spese, a livelli mai visti. Fu anche la Giunta che in poco tempo approvò una raffica di autorizzazioni a costruire sulle coste da far impallidire.

Berlusconi contro Soru. Il Cavaliere di Arcore contro lo scorbutico tycoon di Tiscali. E, a suo modo, Renato Soru contro tutti. Gli isolani la vedono così e non solo loro. D’altro canto, il capo del Governo che sta in Sardegna un giorno sì e uno anche, non fa nulla per contrastare questa convinzione diffusa. Nei comizi chilometrici con i quali inonda un popolo che risparmia sulle parole più che sullo stipendio, Berlusconi conclude sempre invitando Cappellacci a uscire dall’anonimato: «Dì qualcosa anche tu».

La gente ride, ma si sa, il Cavaliere esonda. Nelle elezioni sarde in modo particolare, perché ci tiene, dicono i suoi, e perché ha casa, anzi un’isoletta, in passato al centro di polemiche per qualche colata di cemento di troppo.

Le coste devastate dal cemento

Ma è proprio il cemento il convitato di pietra di queste elezioni regionali sarde da quando il presidente uscente Renato Soru impose la legge cosiddetta "salvacoste", che vietava di costruire a meno di due chilometri dal mare. I dati dicono che non è vero, ma l’accusa che gli avversari rivolgono a Soru è proprio quella di aver bloccato l’industria del mattone, risorsa economica principale dell’isola con una quota pari al 22 per cento delle attività economiche globali contro il 10 cento del turismo.

«Ma siamo i Caraibi dell’Europa»

«È mai possibile che un’attività edilizia così significativa e per la maggior parte votata alle costruzioni vicino al mare per la ricezione turistica generi così poco turismo? La verità è che quella via non porta da nessuna parte», spiega Alessio Satta direttore generale dell’Agenzia regionale per la conservazione delle coste, «perché si tratta di abitazioni di proprietà che vengono usate un mese all’anno, mentre noi abbiamo bisogno di entrate turistiche da maggio a ottobre. Siamo i Caraibi a un’ora di aereo da tutte le capitali europee, dovremmo vivere benissimo di turismo e invece pensiamo a riempire le coste di altro cemento. Dovremmo, piuttosto, riqualificare l’immenso patrimonio immobiliare pubblico già esistente, per destinarlo a forme di "albergo diffuso" soprattutto nel mondo giovanile».


Il fascino del mattone tira assai in Sardegna, più della tutela delle sue splendide coste. A Nurallao, in provincia di Cagliari, prima del comizio di Ugo Cappellacci, un militante del candidato della Destra, pensando fossimo tifosi della sua stessa sponda anche noi, ci ha avvicinato e con fare allegrone ci ha detto: «Ajò ragazzi, vinciamo le elezioni, riapriamo l’edilizia, e torniamo a lavorare tutti». «In Sardegna non c’è la crisi mondiale», ha tuonato il candidato del Centrodestra: «La crisi è Renato Soru».

E invece la crisi, quella mondiale, è arrivata in Sardegna come in tutte le altre parti d’Italia, e colpisce duro. A Portovesme rischia di chiudere la fabbrica di alluminio, ma anche altri settori soffrono. La cassa integrazione registra picchi impressionanti anche a causa della progressiva ritirata degli investimenti nei settori maturi sempre più improduttivi. Secondo un rapporto della Cgil, la cassa integrazione è aumentata del 170 per cento contro una media italiana dell’80 per cento. Il numero dei sardi in cerca di occupazione è cresciuto: «È probabile che la diminuzione del potere di acquisto dei salari abbia spinto molta gente sul mercato del lavoro, visto che i soldi di un solo stipendio non bastano più», spiega Piero Cossu, segretario regionale della Cgil.

C’è chi promette il "polo caprino"

Eppure in qualche modo l’impresa sarda, soprattutto quella medio-piccola, tiene. Il rapporto dell’Unioncamere pubblicato la settimana scorsa mostra luci e ombre. Complessivamente, però, l’impresa non è in ritirata. Tengono gli artigiani, aumentano le società cooperative e le imprese di capitali: «Non è una situazione facile», commenta Pasquale Aru, consulente delle imprese e dirigente del collegio dei periti industriali, «ma la politica di Soru di mettere ordine nella pubblica amministrazione risparmiando somme ingenti, mette la Regione in grado di fronteggiare i costi della crisi che viene da fuori. Soru già lo ha fatto per molti settori, come l’agricoltura o come le imprese innovative».

«Bisogna arrivare al modello irlandese», sottolinea invece l’appassionato e fascinoso leader dell’indipendentismo sardo Gavino Sale, il cui partito, l’Irs, sembra in ascesa, «niente tasse a chi produce per il mercato interno e un modello sul tipo di quello che ha fatto grande la Catalogna».

Sarà una sfida all’ultimo voto quella fra i due candidati, e mentre Berlusconi manda tutta la squadra di Governo a promettere di tutto e di più, persino il "polo caprino", Renato Soru, nella corte della campidanese casa Atzeri, splendido tempio delle tradizioni sarde, ripete: «Dovete decidere se il futuro dovrà essere nelle vostre mani oppure in quelle di qualcuno che ci regalerà qualcosa».

30 gennaio 2009

Marco Espa sul Campus universitario: dal Comune di Cagliari solo cinismo politico e irresponsabilità istituzionale, altro che città dei giovani!


Il Comune di Cagliari entra a gamba tesa nella campagna elettorale per le regionali, e per attaccare Soru spazza via i progetti sul Campus universitario e su Sant'Elia che avrebbero portato in città, in un momento di grave crisi economica, ben 180 milioni di euro di finanziamenti regionali.

Leggiamo infatti sui giornali che la giunta comunale ha bocciato definitivamente il progetto di Campus universitario su cui il Sindaco Emilio Floris aveva firmato un accordo di programma insieme alla Regione.

Nell'assordante silenzio del Sindaco, dispiace constatare che l'ingrato compito di motivare questa clamorosa bocciatura sia stato affidato all'assessore Campus, costretto a mettere insieme una serie di giustificazioni pretestuose e infondate che non fanno onore alla competenza e all'onestà intellettuale da lui dimostrata in altre occasioni.

Il Comune di Cagliari non ha mai fatto nulla per i circa 37.000 studenti dell'Università di Cagliari, mentre la Regione, nella legislatura appena conclusa, ha deciso di investire su questa grande risorsa, dando risposte in termini di servizi innanzitutto per gli studenti in maggiore difficoltà, a partire dai tanti fuori sede.

Le case dello studente oggi presenti in città si trovano in via Trentino, via Roma, via Biasi, via Businco e in via Montesanto: cinque sedi che offrono circa 1.000 posti letto a fronte di una richiesta che negli ultimi anni ha presentato almeno 2.000 domande di studenti risultati idonei all'assegnazione dell'alloggio; dunque ogni anno almeno 1.000 studenti idonei rimangono senza alloggio per carenza di residenze.

È esattamente a questa esigenza che la Regione ha ritenuto di dover dare una risposta, affidando all'ERSU di Cagliari il compito di realizzare una nuova residenza per circa 1.000 studenti ( e non 1.600, come erroneamente dichiarato dall'assessore Campus).

La pretestuosità è nel dire che "sono state aumentate le cubature" del progetto originario. Ma l'accordo di programma serve proprio a ridefinire il progetto ed è uno strumento che prevale sulle concessioni edilizie che avrebbero trasformato il campus in un solo dormitorio! È vero che nel 2006 fu oggetto del protocollo di intesa tra Comune e Regione un progetto di dimensioni ridotte, ma è anche vero che in quel progetto si prevedevano soltanto gli alloggi per gli studenti e dunque era proprio quel progetto ad avere la caratteristica, come dice Campus «di un dormitorio o, nella migliore delle ipotesi, di un albergo». Per superare quel limite si prese in considerazione positivamente un progetto di maggiori dimensioni, che comprendesse – oltre ai 1.000 posti letto – anche i diversi spazi e servizi connessi alla vita studentesca: innanzitutto la mensa, ma anche un auditorium, sale studio, spazi collettivi all'aperto e un polo direzionale. Per avere garanzie sulla qualità dell'intervento e sulla sua integrazione con il tessuto urbano della città fu chiamato a progettarlo il prof. Paulo Mendes da Rocha, importante architetto brasiliano vincitore del Premio Pritzker 2006.

Sulla base del progetto del prof. Da Rocha il Sindaco Emilio Floris ha firmato con la Regione l'Accordo di programma del 28 marzo 2008, avendo a disposizione tutti i dati sulle volumetrie e sulle caratteristiche del nuovo Campus. Come è possibile che neanche un mese dopo, il 24 aprile, la maggioranza di centrodestra del Consiglio comunale abbia clamorosamente bocciato quell'iniziativa del sindaco, non ratificando l'Accordo? E come fa oggi il Comune a dire che quel progetto non va più bene perché, come dice l'assessore Campus «la presenza degli studenti fuori sede debba essere distribuita in tutto il tessuto cittadino»? Ma Campus è al corrente che ci sono già mille posti letto distribuiti nella città tra cinque diverse case dello studente? E come può il Comune impedire a cuor leggero che si dia un alloggio ai 1.000 studenti (aventi diritto) attualmente senza posto letto? Come si fa a dire che sarebbe meglio distribuire gli studenti nel territorio, logica di per se sbagliata? Perché in tutte le maggiori citta internazionali sedi universitarie si fa esattamente il contrario?

Campus definisce gli studenti universitari «un motore di sviluppo non solo economico ma anche e soprattutto culturale», ma il Comune non fa niente per loro, anche quando una mensa universitaria – quella di via Premuda – è ormai divenuta pericolosa da frequentare per gli studenti a causa delle aggressioni e dei pestaggi che si ripetono sempre più frequenti in una zona della città in preda a un gravissimo degrado sociale.

La verità è che le esigenze e il futuro degli studenti sono stati sacrificati in nome della propaganda elettorale e della più ottusa logica di schieramento: si è deciso di impedire che venissero avviate importanti opere anche soltanto parzialmente attribuibili a Soru e al governo regionale, facendo perdere alla città enormi risorse economiche, centinaia di posti di lavoro e migliori condizioni di vita e di studio per migliaia di cittadini e studenti.

7 gennaio 2009

Diritti, non favori: un cambiamento che deve continuare

La nostra visione non può che essere "sociale", civile.

Per costruire una nuova società sarda, noi partiamo dai bisogni e dai diritti umani e civili dei cittadini, non dagli interessi, magari economici e finanziari, di qualcuno.
Ritorniamo al sociale. Qualcuno crede che parlare di sociale significhi solo occuparsi di servizi per persone svantaggiate, magari in casi di emergenza.... E' un tragico grande errore in cui si cade spesso: il sociale è visto come pietà gentilemente concessa dal potere politico, in modo paternalistico e mai risolutivo.

Noi invece crediamo che la visione sociale, come quella ecologica e pacificifista della società sia inscidiebilemnte legata a qualunque progetto.

Guardiamo con occhi nuovi: sociale e sviluppo vanno coniugati assieme.

Ad esempio non può esistere ua politica di turismo che non sia contemporaneamente ecologica e sociale: tursimo davvero rispettoso dell'ambiente, accessibile e aperto a tutti (per età, interessi, disponibilità economica) e non solo per i VIP o aspiranti tali.

Gli interventi regionali in materia di politiche specifiche in campo sociale, realizzate negli ultimi anni (uno per tutti i piani di sostegno personalizzati alle persone con handicap grave) dimostrano come lo sviluppo delle politiche sociali può essere innovativo, paradigmatico, pervasivo ed offrire dunque modelli e metodi per tutti gli ambiti, dalla Scuola al lavoro.

In questi anni le nostre politiche regionali hanno prodotto grandi cambiamenti.

Certo molto ancora è da fare: ad esempio occorre ridurre il divario tra cittadini, imprese e Istituzioni; dobbiamo battere definivamente la solitudine delle persone ed in particolare la lontananza dalle loro istituzioni.

Per questo occorre semplificare le procedure e garantire a tutto il sistema pubblico (e non solo ai grandi Comuni ed alla Regione) la diffusione di strumenti come gli uffici relazioni con il pubblico e gli sportelli unici per le imprese.

Diritti, non favori: deve finire l'epoca del "ci penzu deu".

E non ha più senso vedere politici che approfittano della burocrazia, per proporsi come intermediari tra PA e cittadini o imprese. Per cambiare pagina occorre maggiore efficienza e trasparenza. Pensiamo, solo a quanto sia stato rivoluzionario rendere disponibili a tutti le deliberazioni della Giunta Regionale in tempo reale.

Sono le amministrazioni locali e regionali che devono andare incontro ai cittadini, non i cittadini che devono affannarsi ad essere ammessi nei Palazzi.

E' l'amministrazione che deve andare nelle case per aiutare se ce n'è bisogno gli anziani, le persone con disabilità, i neonati e le loro famiglie. Non fantascienza ma politiche di sostegno alla qualità della vita come avviene in molte parti di Europa.

Con strumenti reali di coprogettazione e partecipazione sociale i cittadini possono davvero garantire responsabilità, consapevolezza e pari oppotunità: una coesione che genera il capitale sociale relazionale, requisito indispensabile per far crescere la comunità, guardare con ottimismo al futuro, mettere le condizioni per la competitività e lo sviluppo del sistema economico regionale.

Questa è la nostra visione sociale.

Marco Espa

ps: se vuoi firmare scrivi un'email a sottoscrivo@marcoespa.it

30 dicembre 2008

Marco Espa: la crisi della rappresentanza si supera con la partecipazione


Il tema i volti della rappresentanza è un argomento di particolare attualità e molto stimolante. Permettetemi di iniziare da una domanda paradigmatica: quale il tratto che sottointende a quest’argomento? Se c'è un tratto che sintetizza le ampie problematiche che attraversano la nostra attualità, la nostra civiltà occidentale, un tratto che è possibile ritrovare sia alla base delle fratture della società come nelle gravi insufficienze dell'azione politica, è quello della notte, di una notte così profonda da investire la stessa dimensione culturale. Paul Ricoeur, filosofo ermeneuta francese, l'ha genialmente definita la "notte del noi".
Nella rappresentanza spesso c'è un'incapacità di pensarci come partecipi di un disegno comune; le sempre più evidenti relazioni di interdipendenza che ci legano di fatto ad ogni altro, sfumano di fronte all'affermazione di una solitaria e pretesa centralità delle nostre ragioni individuali o di quelle del nostro gruppo particolare.
Mi pare di poter affermare che questa "notte del noi" raggiunga la sua massima espressione proprio dentro la politica: i partiti, ciascuno singolarmente, si percepisce come detentore della verità, non come parte di un gioco collettivo che include necessariamente tutti per costruire il bene comune. Ogni città, ogni popolo rincorre il suo parziale bene, come un'entità distinta e separata, mentre oggi più che mai lo spazio dei problemi, e quindi delle possibili soluzioni, è la dimensione planetaria. Anche noi cittadini, ci distinguiamo spesso per una serie di interessi circoscritti quanto il nostro giardino
Di fronte a tutto ciò, esistono però dei punti da cui ricominciare. Come non ricordare che, quasi ogni giorno, scende in piazza un numero variabile, ma sempre incredibilmente alto, di persone che chiedono di partecipare alle decisioni politiche? E anche dentro il palazzo, quante persone incontriamo ogni giorno che, attivata una rete di relazioni continuative e disinteressate, sono capaci di novità, perché capaci di puntare ai valori che precedono e danno significato alle appartenenze.
Fatti che offrono una conferma significativa per continuare a lavorare lungo tre direzioni preminenti.
La prima: offrire luoghi in cui si possano consolidare relazioni di reciprocità tra i diversi soggetti delle dinamiche democratiche. Se a fondamento della politica è necessario porre un nuovo concetto del partecipare, inteso come "prendere parte" alla scrittura del destino comune (è ciò che sta emergendo con chiarezza nel dibattito politico internazionale come nelle buone pratiche che si diffondono, a partire anzitutto dal livello locale), condizione indispensabile è anzitutto quella di "essere parte", di sentirsi parte, laddove ciascuno si trova a vivere e ad operare. Le istituzioni devono lavorare perché ciascuno (e qui mi riferisco ai cittadini come ai segretari di partito, agli imprenditori, ai giornalisti, agli educatori, agli studenti, alle casalinghe) riscopra fino in fondo la sua responsabilità civica e la coniughi dentro le diverse arene del bene comune.
Ne viene uno stile di azione politica preciso, perché qualificato da una forte opzione "pregiudiziale" a favore del dialogo.

Veniamo alla seconda direzione: la dimensione internazionale, la mondialità. Che la storia dell'umanità sia caratterizzata da un rapporto di interdipendenza reciproca è un dato di fatto da cui è impossibile prescindere. Le esemplificazioni sono evidenti: la ricerca della pace, la difesa dell'ambiente, lo sviluppo della scienza, le comunicazioni e l'uso dei media... Sfide verso le quali è possibile produrre una risposta efficace, esprimere una parola forte, solo agendo con sforzi creativi proporzionati: solo se partiamo dal riconoscimento reciproco, del legame universale della fraternità come categoria politica: se dopo la rivoluzione francese molto si è fatto su uguaglianza e libertà, la fraternità pare una categoria abbandonata dalla politica e sulla quale molto c’è da investire, localmente come globalmente.
Si tratta cioè di abituarsi ad agire, sul piano della progettazione e della decisione collettiva, tenendo conto che la comunità politica fondamentale è l'umanità, e abbandonare così, come chiave di lettura e di progettazione politica, la stretta visuale del proprio angolo di mondo, per riconoscere e assumere che, se ogni uomo lo riconosco come facente parte della mia comunità con pari diritti, allora il suo progetto di vita è il mio, la sua aspettativa di vita è la mia, gli ostacoli che frenano il suo sviluppo e quello del suo popolo sono miei. Allora il bilancio del mio comune, del mio stato della mia regione si struttura e si relativizza sulla sua condizione.

La terza direzione è quella dell'individuazione di iniziative comuni. Occorre trovare il modo di interagire, di impegnarsi insieme in azioni positive che vedano il concorso dei diversi soggetti della politica, ognuno forte della sua responsabilità e autonomia, per il bene comune.

Concludo.

Credo che la partecipazione rimanga coessenziale alla rappresentanza.

Ma votare non basta.. il patto eletto-elettore può essere una risposta nella crisi democratica della rappresentanza.

Il sistema democratico chiama i rappresentanti eletti a render conto del loro operato, soprattutto al momento del voto. Eppure oggi un numero crescente di elettori ritiene insufficiente che la propria partecipazione alla vita della polis si esaurisca con un tratto di matita sulla scheda elettorale. L’esigenza che i cittadini possano concorrere al lavoro politico dei rappresentanti durante lo svolgimento dell’intero mandato, in modi più ricchi di contenuto e continuativi, è una delle domande cruciali cui la democrazia moderna non ha ancora risposto. L’esperienza del “patto politico-partecipativo” tra eletti ed elettori, originale sperimentazione internazionale nata a metà degli anni ottanta nell’ambito del Movimento Politico per l’Unità , può essere considerata come l’apertura di un diverso orizzonte partecipativo. E’ un patto di responsabilità reciproca, di dialogo permanente e di fattiva collaborazione tra i cittadini e i propri rappresentanti. Esso crea un rapporto di reciprocità tra il gestore della vita pubblica e il cittadino governato. Col patto l'eletto si impegna ad esaminare continuamente il proprio operato e a renderne conto; da parte loro, gli elettori partecipano, studiando con l'eletto problemi e soluzioni. Gradualmente questo confronto fa diventare punto centrale il bene generale e non l'interesse di parte: il sociale si incontra col politico e l'eletto non è più isolato, ma diventa espressione di una comunità viva. Di fronte al rischio di abbandonare ad una élite la gestione dei processi di governo, si intravede un’esperienza di democrazia riconsegnata alla cittadinanza, di un protagonismo politico della società civile costruito in maniera corretta, nel rispetto dei diversi orientamenti politici e delle differenti funzioni, ma in un quadro di unità del corpo sociale che si compone attraverso relazioni libere e orientate al bene comune.

Marco Espa (*)

(*) Grazie a Lucia Fronza Crepaz per il suo discorso introduttivo a "Tra rappresentanza e partecipazione - Convegno internazionale - Loppiano (Incisa V.no, Firenze) - 3/4 novembre 2007"

24 dicembre 2008

Le dimissioni di Renato Soru aprono una nuova stagione di riforme


Siamo pronti? La parola agli elettori ed io... vi chiederò il sostegno per essere confermato in Consiglio Regionale, esplicitamente, come sempre trasparentemente, senza compromessi: sostegno, non in cambio di favoritismi, ma della battaglia quotidiana per i diritti di ciascuno e di tutti. Ed io devo continuare nel patto eletto elettore, a rendere conto, non esiste la delega in bianco per chi si impegna nelle istituzioni...
Ritorniamo a meno di 12 ore fa. In Consiglio Regionale la svolta: per la prima volta da quando esiste il Parlamento dei Sardi, il presidente della Regione si dimette prima della scadenza naturale.
Nonostante sia comunque un fatto serio, mi sembra che Soru abbia fatto bene: nonostante lo strenuo lavoro della mattina per cercare un accordo bipartisan su alcune riforme istituzionali (riduzione delle nostre indennità di consiglieri regionali, legge urbanistica, legge finanziaria in tempi rapidi ecc), non si è avuto il coraggio di chiudere, qualcuno in consiglio non se la sentita di accettare le proposte del presidente, si proponevano solo impegni formali ma che avrebbero aperto una nuova stagione di problemi.
Ho detto a Soru il mio parere: nonostante possa sembrare questo contro i miei interessi, gli ho detto di andare avanti, la parola agli elettori quando un presidente non ha più la fiducia della sua maggioranza.
Vi ricordate i teatrini delle scorse legislature quando sia i Presidenti di centrodestra come quelli di centrosinistra venivano messi sotto scacco con ricatti di varia natura? Con Soru questa stagione è finita.
Resta adesso ciò che è stato fatto: penso al lavoro in favore della città di Cagliari, insieme in particolare a Sant'Elia (vedi foto) per un quartiere da sempre abbandonato dalle istituzioni, o per il risanamento dei conti pubblici con un miliardo di euro in meno di debiti (come la Corte dei Conti ha sentenziato qualche giorno fa). Però mi ha fatto immensamente piacere che, nella conferenza stampa dopo le dimissioni (per chi volesse vederla, può cliccare qui, si possono leggere anche centinaia di commenti di cittadini)ha rivendicato con orgoglio la nostra esperienza dei 30.000 progetti personalizzati in favore delle persone con disabilità grave. Un'esperienza rivoluzionaria, partecipata, partita nel 2000 dalle battaglie delle nostre famiglie e dei nostri bambini e che ora è diventata normalità, il paradigma del nuovo modo di intendere le politiche sociali, non assistenzialismo ma diritti civili e di cittadinanza per le persone in situazione più estreme. Ricordo con un po' di emozione quando l'anno scorso sono stato chiamato a Berlino dall'ESN European Social Network per mostrare questa esperienza innovativa frutto della vita stessa dei nostri figli (se vuoi approfondire clicca qui). Un'esperienza rafforzata dal governo Soru con stanziamenti per oltre 170 milioni di euro.

Marco Espa: grande risultato di oltre 42 milioni di euro per i piani 162 di sostegno alle persone con disabilità e le loro famiglie

Grande soddisfazione per le persone con disabilità e le loro famiglie per lo stanziamento di oltre 42 milioni di euro in favore dei piani di sostegno per le persone con disabilità grave, L. 162/98, oltre 19 mila i piani approvati qust'anno tutti personalizzati in base alle esigenze specifiche di ciascuno e co-progettati con i propri Comuni di residenza. "Le battaglie e le fatiche - commenta Marco Espa - che noi famiglie abbiamo portato avanti sin dal 2000 anno dell'applicazione della legge in Sardegna, sono ormai un esempio di buona prassi per tutti; le eco positive e il modello della 162, così fortemente voluto proprio dai diretti interessati, è guardato con inetresse anche dal resto d'Italia; voglio ricordare che la Sardegna è infatti la prima regione in Italia nell'applicazione di questa legge con queste modalità cioè la personalizzazione e la coprogettazione che noi abbiamo chiesto: se pensiamo che si è passati da 130 piani presentati nel 2000 agli oltre 19.700 piani di quest'anno, si capisce il gradimento per il servizio, il fatto che noi famiglie se adeguatamente sostenute vogliamo e siamo in grado di prenderci cura dei nostri cari in situazione di gravità in famigli, e ancora che c'è la volontà da parte nostra, come di tuttii cittadini, di partecipare direttamente alle scelte che ci riguardano".

Se vuoi leggere la Delibera approvata dalla Regione clicca qui

Partecipo alla Tavola Rotonda: i volti della rappresentanza


Si terrà Lunedì 29 dicembre alle ore 17,00 la Tavola Rotonda "I volti della rappresentanza", presso Palazzo Regio - p.zza Palazzo a Cagliari. Saluti di Graziano Milia (Presidente Provincia di Cagliari) e Roberto Pili (Presidente Consiglio Provinciale di Cagliari). Discutono insieme a Marco Espa (Consigliere Regione Sardegna) Laura Pulga (vice Presidente Consiglio Provinciale di Cagliari) Rita Corda (preidente Commissione Pari Opportunità Provincia di Cagliari), Gian Mario Demuro (Ordinario di Diritto Costituzionale Università di Cagliari) e Maria Grazia De Matteis (associazione Amistantzia). E' stato invitato a partecipare al dibattito anche Renato Soru.

19 dicembre 2008

Letizia De Torre: La riforma Gelmini? Riforma???


Un comunicato "live" dal parlamento italiano della mia amica Letizia De Torre, già sottosegretario all'Istruzione nel precedente governo, che condivido molto.
Buona lettura!
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Questa mattina il Consiglio dei ministri ha approvato i Regolamenti (uno sulla scuola dell’infanzia e del primo ciclo e l’altro sulla riorganizzazione della rete scolastica) presentati dal Ministro dell’Istruzione. Leggendo il comunicato stampa del Ministero ci si prende uno spavento. L’illustrazione de ‘la scuola cambia’ (secondo la Gelmini) è un elenco super rassicurante di risposte alle critiche ricevute, ma non è quello che produce realmente il taglio di 8 miliardi di euro in tre anni. E’ un comunicato per metà puramente mediatico, in cui si fa un annuncio che pare vero e che purtroppo verrà preso per vero finché scuole e famiglie non si scontreranno con la realtà. Per l’altra metà si appropria e vende un lavoro precedente come quello della Commissione sugli istituti tecnici, della razionalizzazione degli indirizzi e del Piano L2 del Governo Prodi. E fa emergere una visione paurosamente riduttiva: una scuola pragmatica e funzionale all’economia, un susseguirsi di ore per addestrare (nei licei e negli istituti tecnici) tecnici e classe dirigente, mentre dell’Istruzione professionale neppure l’ombra, si vede che chi si prepara ad un lavoro non ha abbastanza dignità per stare dentro questa ‘riforma organica’, ‘la prima dopo la Riforma Gentile del 1923’ (perché quella della Moratti non era organica? E quella di Berlinguer neppure? E lo straordinario lavoro di Franca Falcucci neppure era organico?) In effetti si sta ritornando al clima in cui è maturata la riforma di Gentile. Una bacchettata a tutti per mettere in riga i do centi, gli studenti, i bidelli, le ore che si erano accorciate a 50 minuti, gli indirizzi che si erano moltiplicati e nell’ordine ristabilito la scuola sarà magicamente perfetta. Un altro orologio è tornato indietro: dell’idea di autonomia e federalismo non è rimasta neppure l’ombra. Questa scuola Tremonti/Gelmini è centralista come, appunto, lo era nel 1923. L’autonomia delle Istituzioni scolastiche (Ministro Bassanini nel 1997) è svanita. E sì, perché sarebbero le singole Scuole che dovrebbero organizzare curricolo, orario e docenti. Ignorato anche il Titolo V della Costituzione secondo il quale le Regioni e le Province e i Comuni hanno un ruolo da svolgere per le proprie scuole. Se rimarrà ancora qualcosa del federalismo per cui si spende Bossi, riguardo la scuola l’unica cosa reale saranno i livelli minimi “in vista di una generalizzazione”: scuola materna solo al mattino, 24 ore all e elementari, laboratori “veri e propri centri di innovazione attraverso la costruzione di dipartimenti di ricerca” in cui un docente porterà 33 alunni da solo senza un tecnico specializzato. Venerdì scorso ad una associazione di dirigenti scolastici il Ministro Gelmini aveva giurato che non sarebbe tornata indietro su nulla. Ed eccoci serviti. Una scuola di ghiaccio, senza l’anima della comunità a cui ogni scuola appartiene.

16 dicembre 2008

Partecipo al convegno Capoterra e il suo territorio: una progettualità sostenibile.


Venerdì 19 dicembre alle 17:30 si terrà l’incontro "Capoterra e il suo territorio: una progettualità sostenibile. Il territorio, risorsa per disegnare il futuro”
Programma
Introduce:
Franca Camarda- Partito Democratico
Intervengono:
Raffaela Serra- Partito Democratico. La pianificazione idrogeologica
Veronica Pinna- Assessore comunale Programmazione. Il piano strategico comunale
William Schirru- Segretario provinciale Filcem CGIL. La registrazione EMAS territoriale
Coordina:
Walter Cocco- Partito Democratico
Aprono il dibattito:
Maria Grazia Dessì- Segretario provinciale CNA
Giacomo Mallus- Consigliere comunale PD
Conclude:
Marco Espa- Consigliere regionale PD
Sono invitati a partecipare i cittadini e gli amministratori del territorio.
Organizza il circolo del Partito Democratico “Bidda Mores”


Ora e luogo:
venerdì 19 dicembre 2008
Ora:
17.30 - 20.30

Indirizzo:
Via Venezia, 61
Città/Paese:
Capoterra, Italy

12 dicembre 2008

Espa (PD) SU PARIFICA BILANCIO REGIONE DA PARTE DELLA CORTE DEI CONTI



“DOPO I CONTRASTI, LA CORTE CERTIFICA IL CAMBIO DI MARCIA NEL RISANAMENTO DEL BILANCIO REGIONALE DELLA GIUNTA SORU: ogni sardo ha meno debiti per 650 euro a testa”

“Credo che l’odierno pronunciamento della Corte confermi il serio lavoro di risanamento dei conti pubblici regionali. Nell’udienza la Corte ha certificato alcune questioni molto importanti per i sardi: la prima e la più nota è che, come sottolineato dal procuratore generale, l’importo iscritto in bilancio di 500 milioni di euro non e' da considerare un'anticipazione di entrate future, ma una cifra a credito per gli esercizi 2004, 2005 e 2006, derivante da entrate proprie e non da assegnazioni statali e maturate in virtù dello statuto sardo e delle sue norme attuative. La seconda, sottolineata dal magistrato estensore e ai miei occhi più importante, è che i governi di centrodestra avevano portato la Sardegna nel baratro con un disavanzo certificato di ben 3 miliardi e 400 mila euro. L’azione del nostro governo regionale ha diminuito il disavanzo di ben 1 miliardo di euro (ora 2 miliardi e 400 mila euro, secondo la Corte) ovvero ogni sardo ha meno debiti per ben 650 euro rispetto al 2002.
E questo abbinato ad una maggiore velocità di spesa della macchina amministrativa ed ad un bilancio meno rigido, ovvero non vincolato dalle spese obbligatorie, non può che aprire uno scenario di maggior benessere per il futuro. Penso ad esempio al Fondo regionale per la non autosufficienza, il più alto in Italia come quota procapite: se possiamo permetterci questo, dando benessere a 35000 sardi in difficoltà, è proprio per questi risultati sostanziali di buon governo, anche economico finanziario. Spero che chi fino ad oggi ha portato le sentenze della Corte strumentalmente contro il governo Soru abbia il coraggio di continuare a dire “la corte dei conti ha ragione anche oggi….”
(Cagliari 11 DICEMBRE 2008)
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Marco Espa
Consigliere Regionale della Sardegna
PD - Partito Democratico